


È quindi curioso che il progetto di curatela di questa edizione del LIAF si sviluppi intorno al concetto di collage, perché la parola allude a una composizione di oggetti collocati ad arte su uno sfondo preesistente: in queste circostanze un’analisi dei problemi del modo in cui le pratiche curatoriali si compongono con le realtà spaziali e di contesto.
Con il titolo Ma che cos’è che rende l’oggi così familiare, così scomodo? il progetto parafrasa il celebre collage proto-Pop di Richard Hamilton Ma che cos’è che rende le case di oggi così diverse, così affascinanti?, adeguandolo alla condizione contemporanea di sospensione, di disagio e di rischio.

La scelta solleva alcune domande: per esempio come può un collage essere il punto di partenza di un progetto espositivo? Ovvero che cosa significa costruire una mostra come si costruisce un collage? Assume una forma antagonistica, data la sovrapposizione di forze opposte? Esprime l’intenzione di aggiungere una varietà di elementi che oscurino lo sfondo preesistente? Oppure considera il fondo come una struttura di sostegno che tiene in posizione ciò che vi viene applicato?
A quanto pare, è nei concetti di adeguatezza e di contrasto che i curatori del LIAF 2013, Bassam El Baroni, Eva González-Sancho e Anne Szefer Karlsen, hanno trovato delle risposte al titolo che hanno concepito, selezionando un gruppetto di scenari non istituzionali per collocare opere e progetti.


Nella città di Svolvær, una biblioteca pubblica, un centro commerciale decaduto, un piccolo museo bellico, un albergo e un cinematografo hanno ospitato una serie di interventi che, in certi casi, mettevano in luce la loro identità e la loro natura.
L’opera tessile di Ann Böttcher Transit Portal (“Portale di passaggio”, 2013), perfettamente in tema con il caos dei reperti del museo bellico, ha presentato un’elaborazione secondaria dei suoi contenuti e dei suoi richiami al nazismo. Analogamente i minuscoli ritratti d’alberi di Böttcher – collocati nella Biblioteca di Vågan – alludevano allegoricamente alla presenza a Svolvær della Gestapo, istituendo una corrispondenza tra cultura e natura.

Ancora nella biblioteca, IHT 20110831-20130831 di Sven Augustijnen (2013) consisteva in un ristampa dell’International Herald Tribune. Ottenuto grazie alla ricombinazione di notizie pubblicate in momenti diversi, generava movimenti in avanti e all’indietro nel tempo, creando una sensazione di sospensione assoluta.
Altre opere, come l’omaggio a Clarice Lispector di Lisa Tan al Thom Hotel; la collezione di immagini di individui disperati di David Horvitz, presentata in forma ripetitiva e adeguata a diversi discorsi sulla depressione e l’angoscia nella casa di Per Pedersen, o il film di Badi Abidi sui paradossi della geopolitica al Filmteater, analizzavano ulteriormente la dialettica del luogo e dello spazio, dell’esperienza e della percezione umane, che si scontravano tra loro provocando interesse e sospensione, come se qualcosa fosse sul punto di esplodere ma fosse trattenuto e bloccato a tempo. È forse questa condizione di impasse a rendere l’oggi tanto familiare e tanto scomodo?
