È l’artista di Rovesciare gli occhi, lo splendido autoritratto con pupille specchianti del 1970, lo stesso che, attraverso il valore iniziatico dello sguardo introspettivo, fa ritrovare finalmente a Versailles l’incanto della sua meraviglia originaria, senza nemmeno entrare nella sala degli specchi, tentazione alla quale gli altri artisti contemporanei, che qui sono intervenuti negli ultimi anni, non hanno saputo resistere.
Giuseppe Penone, in stato di grazia, sfiora appena l’edificio con una stanza profumata dove “respirare” l’ombra dai delicati bronzi e con le pareti in foglia di tè, facendoci dimenticare i recenti passaggi di Murakami, Koons e Vasconcelos. Il loro si rivela, ancor più un inutile sfarzo e sforzo, quando una bellissima e difficile mostra cancella ogni finta relazione site-specific in un luogo così sublime. Versailles, diciamolo, è autosufficiente, così carica di cultura e natura specifiche, difficili da preservare, figuriamoci da addomesticare con l’insulsa stagionalità del contemporaneo.
Penone contrappone non solo il rispetto del lavoro dei secoli passati, ma anche quello per le equipe che ancora oggi lo mantengono visibile – giardinieri e conservatori in testa –, coinvolgendoli nel suo progetto. L’opzione naturale con cui interroga il sogno narcisista del Re Sole è una chiave critica.
Il gesto regale è invertito dalla sua umiltà quasi monastica di artista povero (o poverista) che, come in una contromossa di energia cosmica e atemporale, rivela la forma artificiale dell’esproprio aristocratico sulla natura. È anche il più bell’omaggio ai quattrocento anni dalla nascita di André Le Nôtre, il grande artista di giardini che incanalò l’afflato egoista del sovrano nella visione paesaggistica mozzafiato della sua prospettiva centrale, ritmandone la massa vegetale con bacini, canali e giochi d’acqua.
È una monumentalità scarna cui fa eco un’altra scultura qui installata: Le foglie delle radici del 2011, sulla cui radice rovesciata sta crescendo una giovane pianta.
Penone sfida con l’incanto la dismisura del luogo. A Versailles, tutto è piccolo ma nel luogo di rappresentazione di un’idea di dominio occorre trovare un controsistema di lettura. Penone fa propria l’intuizione di Giacometti, la prospettiva centrale diventa come un’unica base su cui assemblare sculture di taglie differenti. Triplice, l’albero folgorato riprodotto in oro e bronzo, il cui disegno di pietre in bilico taglia ai margini la prospettiva e Le foglie delle radici (2011) sembrano schizzate di getto, nel vuoto o, come precisa l’artista stesso, nel bianco di una visita invernale al castello.