Questo articolo è stato pubblicato su Domus 967, marzo 2013
Il modo migliore per raggiungere la Galleria a cielo aperto di Mangiabarche, sull’isoletta di Sant’Antioco, vicino alla punta sud-occidentale della Sardegna, è a piedi. A qualche chilometro dalla meta, l’asfalto termina in un viottolo, oltre il quale si apre una macchia di roccia vulcanica che si estende dai cespugli di ginepro fino al mare, sorvegliato dal faro di Mangiabarche.
A pochi passi, un’antica torre di guardia e un bunker sopravvissuto alla Seconda guerra mondiale ricordano il passato militare dell’isola. Dopo aver messo a fuoco le due costruzioni, ecco apparire altre strutture — vecchi magazzini, caserme abbandonate, edifici che riprendono i toni smorzati della vegetazione circostante. Mentre la luce tagliente sembra amplificare il contrasto tra i pochi colori presenti, improvvisamente gli occhi sono attirati da alcuni abbaglianti contorni bianchi, che emergono oltre i cespugli. Avvicinandosi, il loro perimetro si apre in un abbacinante volume bianco, privo di tetto, porte e finestre, la cui mancanza rende alieni i nitidi profili angolari. Una stradina di ghiaia conduce all’interno, dove una grande stanza candida lascia spazio al cielo turchese. Seguono altri tre ambienti di dimensioni minori, tutti con pavimenti a mattonelle, e qua e là residui di precedenti strati di colore: verde, grigio, blu. In alto, solo il cielo, incorniciato dagli implacabili bordi bianchi della struttura. È come se James Turrell fosse atterrato in Sardegna.
In La Méditerranée, l’opera seminale dello storico francese Fernand Braudel del 1949, l’autore sottolinea come le terre che circondano il bacino del Mediterraneo condividano una storia collettiva, presentando gli stessi tratti geografici e geologici, consolidati nei secoli da commerci, conflitti e migrazioni. Il mare funge da collegamento tra tutti gli insediamenti umani che lo attorniano, ma natura e geografia — ostili, telluriche, volubili — definiscono genti e luoghi che circondano il grande mare. “Qui tutto ha dovuto essere costruito, spesso più faticosamente che altrove”, sottolinea Braudel, definendo quello che per secoli è stato uno spazio geografico, ma anche politico, di resistenza. A Mangiabarche, il Mediterraneo di Braudel torna alla vita. Enormi, sanguigne rocce vulcaniche precipitano in un mare cristallino che, sovente e d’improvviso, muta di tonalità e di umore. Cespugli di ginepro e mirto si stagliano immobili, come se fossero lì da secoli; in pochi secondi, il cielo si trasforma e da splendente si fa minaccioso. È un territorio resistente e indomito.
A 200 m dalla costa, la stessa energia si sprigiona dai muri bianchi della Galleria a cielo aperto di Mangiabarche. Nato dalla collaborazione tra l’agenzia di produzione spaziale Beyond Entropy e l’Agenzia regionale Conservatoria delle coste della Sardegna, il progetto rientra in un concetto più ampio: una sorta di kunsthalle del Mediterraneo, che comprende sia la Galleria sia il Museo d’arte contemporanea di Calasetta, situato a soli 5 km di distanza, nell’omonimo villaggio. Entrambe le istituzioni orbitano intorno alla Fondazione macc, di recente creazione, e si propongono di portare l’arte contemporanea fino a quest’angolo del Mediterraneo tramite soggiorni per artisti, installazioni e mostre.
In questo contesto, la Galleria di Mangiabarche è ciò che l’iniziatore del progetto, Stefano Rabolli Pansera, definisce “uno spazio speciale”, con un programma curatoriale che sovverte il concetto dell’ambiente espositivo white cube. L’intervento architettonico, che riadatta un’ex mensa militare, è stato minimale. “Il tetto è stato semplicemente rimosso”, afferma Rabolli Pansera. “Tutto il resto rimane uguale, eppure ora è tutto diverso”. La galleria vuole ospitare interventi di artisti contemporanei, che, anziché avere una presenza limitata nel tempo, invadano i suoi spazi e vi rimangano, soggetti agli elementi naturali e a qualsiasi circostanza imprevista.
Nel novembre 2012, per inaugurare ufficialmente lo spazio espositivo, Rabolli Pansera ha curato Variable Length, performance consumatasi in una sola notte, combinando uno spettacolo di fuochi d’artificio che tracciavano un profilo luminoso dell’edificio — evento preparato con grande misura da Antonio Collà, esperto di pirotecnica di Cagliari, tra i cui precedenti progetti rientrano le Olimpiadi di Londra del 2012 — con un intervento di musica sperimentale; il tutto sotto un cielo di inusitata bellezza. L’alba seguente rivelava una serie di tracce di carbone: scuri residui, che delineavano un percorso sulle pareti dello spazio principale ed erano il primo intervento di un palinsesto perenne. Nel gennaio scorso, l’artista cagliaritano Marco Lampis ha collocato una serie di specchi all’interno della galleria, convogliando nello spazio espositivo le palme che crescono all’esterno. Altri progetti sono in fase di sviluppo.
Alla fine, l’obiettivo più grande di Rabolli Pansera è trasformare Mangiabarche in un “epicentro di produzione artistica e culturale per l’intera area del Mediterraneo”. Per lui, la Sardegna incarna le molte contraddizioni che si possono osservare in tutti i Paesi affacciati su questo bacino, dalla Spagna al Libano: contraddizioni espresse soprattutto da un’aggressiva occupazione territoriale stagionale — terre sovraffollate d’estate e spopolate d’inverno — e dall’acuto contrasto tra vaste riserve naturali e infrastrutture turistiche. Con questo progetto per una kunsthalle del Mediterraneo, Rabolli Pansera vuole delineare un possibile futuro per quest’area geopolitica oltre la dialettica attuale.
Per il successo del suo ambizioso programma non mancano i presupposti: Beyond Entropy ha individuato un territorio con un potenziale immenso, mappando e identificando oltre 1.000 istituzioni culturali che operano lungo i confini del Mediterraneo, nessuna delle quali dista più di 2 km dalla costa. Una tale verifica solleva la domanda: può questo mare diventare ancora una volta un fattore legante? È possibile fare emergere una rete alternativa di collaborazioni e scambi? L’incertezza politica ed economica che negli ultimi anni attanaglia il Nordafrica e l’Europa meridionale fa pensare a un futuro incerto per queste istituzioni, particolarmente in termini di sostenibilità economica. Per progetti che stanno ancora germogliando, come la Galleria di Mangiabarche, la sfida più grande è creare e mantenere un pubblico, e non adoperarsi per generare semplicemente una nuova attrazione per il turismo dell’arte.
Numerosi elementi suggeriscono che un tale pubblico possa realmente essere creato, e che un progetto come quello di una kunsthalle mediterranea sia in grado di crescere e rafforzarsi: nuove rotte aeree low-cost, da poco annunciate, permetteranno di collegare il vicino aeroporto di Cagliari con epicentri dell’arte quali Berlino e Vilnius, mentre, più a nord, l’aeroporto di Alghero accoglie i voli provenienti da Londra. Contemporaneamente, Rabolli Pansera continua a rafforzare e affinare il suo programma curatoriale: la sua ultima iniziativa è un’“epica civica”, in cui giovani artisti in residenza portano l’arte nelle vite—e nelle case—degli abitanti di Sant’Antioco, creando uno scambio con la popolazione locale. Poi, naturalmente, c’è la storia secolare di Mangiabarche, della Sardegna, del Mediterraneo. Il territorio geopolitico di resistenza che Fernand Braudel ha descritto in modo così eloquente nel suo magnum opus contribuisce ad aprire le porte al successo di un luogo quale la Galleria a cielo aperto di Mangiabarche; e, con essa, delle molte istituzioni culturali che attorniano il mare, in un processo indubbiamente faticoso, che sarà nondimeno una “lenta, puntuale, magnifica conquista”. Vera Sacchetti @verasacchetti
Giornalista e critica di design