Non sarà una tendenza universale ma è certamente diffusa: l'inclinazione ad arrivare in una città che non è familiare e a paragonarla a quella con cui si ha maggiore consuetudine. Ho sentito esprimere comici parallelismi tra Amsterdam e San Pietroburgo, perfino tra Praga e Shanghai, per citarne alcuni. Naturalmente ci sono parecchie buone ragioni per affibbiare a due luoghi geograficamente distanti un "Mi ricorda…", tra cui le similitudini climatiche, per dire, ma anche i fenomeni di immigrazione e l'architettura nel corso del tempo, nonché la storia delle guerre e delle competizioni di potere tra nazioni. Ovviamente parecchie di queste similitudini sono tutt'altro che lusinghiere: cioè la solita lamentela che "tutte le grandi città cominciano a somigliarsi". Certe volte il cervello non fa che andare in cerca di tratti noti nel territorio ignoto, nel tentativo di tranquillizzarsi.
Ma – a parte la storia, la neuroscienza e la trasformazione urbanistica in senso borghese – una città possiede anche un Doppelgänger 'emotivo'. Che viva nella mente di un singolo osservatore oppure di molti, quest'idea poetica è più ardua da giustificare, molto meno articolata. La mostra Berlin Meets Los Angeles, aperta al Goethe Institut di Los Angeles fino al 5 febbraio, mira proprio a questo, con una serie di fotografie delle due metropoli citate nel titolo accostate in modi sorprendenti. Evitando le vedute familiari di entrambe le città, e andando invece a spiare nelle viuzze, dietro gli angoli e su nel cielo, la mostra crea un vago collegamento tra Berlino e Los Angeles. La suggestione, più che la logica, evita che il collegamento si definisca con precisione. Dopo tutto non si tratta di fotografie della Karl-Marx-Allee di Berlino – monumentale rudere della Repubblica Democratica Tedesca – a fianco del suo omologo moscovita. Sono foto che parlano in parallelo di una casa su ruote color azzurro acqua di Los Angeles e di un minibus senza ruote ricoperto di graffiti nel cortile posteriore del Tacheles di Berlino, centro d'arte 'improvvisato' che oggi è stato sradicato.
Berlin meets Los Angeles
Una mostra fotografica al Goethe Institut di Los Angeles mette a confronto le due città accostando in modo sorprendente immagini non stereotipate delle due metropoli. È il punto di vista della fotografa berlinese Andrea Wilmsen e della svizzera Corina Gamma.
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- Katya Tylevich
- 18 gennaio 2013
- Los Angeles
Perché le due foto stanno insieme? Forse perché entrambe alludono all'effimero, allo spazio indefinito e libero, alla sensazione che tra un anno entrambe le fotografie rappresenteranno qualcosa che non c'è più, per lo meno nello stesso contesto. C'è una vulnerabilità fisica intrinseca a ciascuno dei due soggetti, ma anche una vulnerabilità figurativa: dato che è facile presumere che il Reichstag e l'insegna di Hollywood l'anno prossimo avranno ancora lo stesso aspetto, è più facile giustificare il fatto che 'meritino' di essere fotografati.
Berlin meets Los Angeles nasce da un libro di prossima pubblicazione, intitolato Berlin - Los Angeles. Big Dreams. Simple Realities: ne sono coautori la fotografa berlinese Andrea Wilmsen e la fotografa svizzera Corina Gamma, che vive a Los Angeles. Sul suo sito Wilmsen scrive che il progetto analizza due città dove "si arriva tutti i giorni in cerca di una vita nuova, di libertà e di realizzazione di sé". Le fotografie di Wilmsen e Gamma non sono da cartolina, e per un buon motivo. Data la notevole differenza di decenni di storia che Los Angeles e Berlino hanno alle spalle, l'attenzione non si concentra tanto su quel che è accaduto nelle due città quanto sulla promessa di quel che potrebbe accadervi. E il possibile non se ne sta in posa davanti all'obiettivo.
Stringate nei commenti soggettivi, Gamma e Wilmsen puntano l'obiettivo sull'inevitabile, progressiva esclusione della fantasia: a opera dell'abitudine, della vita, del ciclo dei giorni
Senza per questo diventare junghiana direi che, quando ho conosciuto i lavori di Wilmsen e Gamma la mia reazione non è stata "Che scelta curiosa!", ma "Era ora!". Ne avevo giù sentito parlare, di questo parallelo tra Los Angeles e Berlino, e più di una volta, chiacchierando, e sempre con espatriati dell'una o dell'altra sponda dell'Atlantico. Alcuni mi portavano a riprova di questa osservazione il fatto che le due città sono unite dalla mancanza di un centro preciso, dalle vaste estensioni di spazi indefiniti. Entrambe sembrano dotate più di carisma che di bellezza, e attirano un gran numero di 'eccentrici' che, con il trasferimento, vanno in cerca di un radicamento. Aggiungerei all'elenco, allora, che entrambe le città sono analogamente afflitte da critiche ricorrenti, lanciate spesso da chi vi abita da parecchio: che cambiano in peggio per adattarsi alla propria immagine, che marginalizzano le frange radicali che un tempo rappresentavano la loro identità.
Wilmsen e Gamma non formulano critiche o ammonimenti di questo genere. Non sfruttano le fantasie della vita di Los Angeles e di Berlino (probabilmente due trappole fatte apposta per chi va in cerca di fantasie). Ma, stringate nei commenti soggettivi, Gamma e Wilmsen puntano l'obiettivo sull'inevitabile, progressiva esclusione della fantasia: a opera dell'abitudine, della vita, del ciclo dei giorni. Ecco come appaiono le scale della stazione della metropolitana di Alexanderplatz ogni giorno al mattino presto, o a tarda notte d'inverno; ecco come appare un'antenna per cellulari travestita da palma vista dal finestrino di una macchina in sosta; ecco come appare una drag queen alla parata di Halloween a chi se ne sta sul marciapiede, presumibilmente con una birra in mano. Ordinarie vedute tipiche delle rispettive città. Berlin Meets Los Angeles non offre scatti affascinanti, e giustamente evita di perpetuare stereotipi (spesso affermati) in entrambe le città. Dall'inevitabile punto di vista dell'estraneo – la fotografa, trapiantata nella città dei molti trapianti – la mostra delinea un paragone tra due città che lottano per restare senza paragoni. Katya Tylevich