La conseguente diversa relazione opera-collezione diviene evidente nel percorso che ha ridisegnato con lo stesso modulo, ma che applica con maggiore cura didascalica di quella che usa normalmente per gli spazi in franchising del turismo artistico globalizzato. Il rapporto quantitativo opere-collezione si rivela felice e meno aggressivo del solito, a partire dallo splendido rococò della sala d'Ercole che, da consumata decoratrice degli spazi più glamour del contemporaneo, ha lasciato vuota. Là, dove nelle precedenti edizioni di arte al castello il priapismo di Koons e Murakami avevano calato i loro assi più ingombranti e scintillanti, gli enormi Balloon Dog e Kaikai Ki, la carta dell'assenza si rivela per Vasconcelos quella vincente.
Con alcuni lavori di Joana Vasconcelos accade però qualcosa d'inaspettato. Nei suoi due cuori, il Coraçao Independente Preto del 2006, fatto di posate piegate, e Coraçao Independente Vermelho del 2005, fatto di posate in plastica, che riprendono la forma archetipica del monile per le spose lusitane, l'ordinarietà del materiale e la collocazione nei Saloni della pace e Salone della guerra, irradiano uno spleen domestico che rimanda ad una belligeranza di coppia più da tinello che da appartamento regale o da luoghi dove si amministra una giustizia e un governo su scala planetaria. Le scarpine Marilyn (PA), con il loro tacco vertiginoso nel Salone degli specchi, sono la chiosa perfetta, il monumento eretto all'utilizzo evenemenziale dei luoghi, ma decisamente mal collocate. Non competono con la frugale bellezza del Petit Gâteau, la cupcake bellissima, minuscola e pezzo pivotale di una deliziosa installazione che è in questi giorni alla Fondazione Gulbenkian di Parigi.
Il rapporto quantitativo opere-collezione si rivela felice e meno aggressivo del solito
Joana Vasconcelos/Versailles
Palazzo di Versailles, Versailles