Le opere di Chantal Akerman, che giocano sulla sottile linea di demarcazione tra documentario e narrativa oltre che su quella tra cinema sperimentale e a soggetto, manipolano magistralmente il concetto di tempo filmico: il senso dell'esperienza e della testimonianza del trascorrere del tempo. Tra le sue opere più note, qui per altro non esposta, c'è Jeanne Dielman, 23 Quai de Commerce, 1080 Bruxelles (1975), ampia disamina di tre giorni della – per lo più monotona – vita di una 'casalinga' nell'appartamento in cui unisce ai lavori domestici le occupazioni materne e il lavoro come prostituta part-time.
Akerman mescola temi come la propria storia personale e i problemi di genere con l'estetica quotidiana, le questioni di linguaggio e l'importanza di ciò che sta all'interno (cioè dentro l'appartamento, nascosto o implicito), in contrapposizione con ciò che sta all'esterno oppure è esternamente visibile. L'architettura dà struttura ai film di Akerman: dalle stanze d'albergo agli appartamenti, ai corridoi, alle stazioni ferroviarie e ad altri spazi di passaggio. È una caratteristica presente fin dai tempo del suo primissimo film, Saute ma ville (1968), che si apre con una carrellata sull'esterno di alcuni palazzi d'appartamenti. L'uso di architetture anonime, prive di caratteristiche particolari, sottolinea l'importanza del quotidiano nella sua opera.


Benché la mostra si ampli a una selezione delle opere precedenti, il punto focale al centro dell'esposizione è D\'Est: la prima installazione di Akerman e il punto di svolta della sua carriera da cui è nato il successivo interesse per l'installazione.




Chantal Akerman. Too far too close
M HKA
Leuvenstraat 32, Antwerp
La mostra è a cura di Dieter Roelstraete ed è accompagnata da una monografia edita da Ludion e a cura di Dieter Roelstraete, con saggi di Giuliana Bruno, Tim Griffin, Steven Jacobs, Vivian Sky Rehberg e con un'intervista a Elisabeth Lebovici.
