Tomás Saraceno: Cloud Cities

La gigantesca installazione che occupa lo spazio principale della Hamburger Bahnhof è costruita per essere spettacolare.

L'èra delle mostre di travolgente successo di pubblico si aprì nel 1972 con The Treasures of Tutankhamun, presentata prima al British Museum di Londra, poi al Metropolitan Museum of Art di New York. La mostra attirò folle enormi e fece tendenza, a partire dalla classiche mostre degli Impressionisti – come la mostra di Gauguin alla Tate Gallery, record assoluto, e quella di Claude Monet alla Royal Academy – per arrivare alle rassicuranti installazioni di Olafur Eliasson, di Wolfgang Laib e di Anish Kapoor, tra gli altri artisti la cui carriera è il prodotto di questa speciale ecologia.

A Berlino anche la Hamburger Banhof si è cimentata nel compiacere la folla, soprattutto con Soma di Carsten Höller, con The Rape of the Sabine Women di Eve Sussmann & The Rufus Corporation e con The Murder of Crows di Janet Cardiff & George Bures Miller. Il che ci porta alla mostra attuale: Cloud Cities di Tomás Saraceno. Cloud Cities – installazione gigantesca che occupa lo spazio espositivo principale – è costruita per essere spettacolare. Filigrana di sfere volanti catturate da un labirinto di ragnatele, la mostra si rifà alle cupole di Buckminster Fuller e ai giardini sospesi di Alex Raymonds. Certe sfere ospitano delle piante, altre sono raggruppate in strutture di Weaire–Phelan, altre ancora sono isolate, di dimensioni abbastanza grandi da permettere al visitatore di entrarci.

Tomás Saraceno, Cloud Cities, 2011. Vista dell'installazione alla Hamburger Bahnhof. Photo Tomás Saraceno.

Traendo forza visiva dalla polarizzazione tra le bolle sospese e la scura, distopica rete che le intrappola, l'installazione attenua la distinzione tra geometrico e biologico. Lo stesso schema si riproduce a ogni livello della struttura, dai micro ai macroelementi, costituendo quel che si potrebbe chiamare un ordinamento cosmico neoplatonico. Saraceno lavora spesso sull'autosomiglianza, come sui sistemi ricorsivi o iterativi, come si vede in progetti come Galaxies forming along filaments, like droplets along the strands of a spider's web (2009), esposto alla Biennale di Venezia, o 14 Billion (2010), esposto alla Bonniers Konsthall di Stoccolma, che fanno lievitare in modo esponenziale la rete di una comune vedova nera fino a renderla un reticolo mostruoso. Ma a Cloud Cities manca il pathos dei lavori precedenti. La logica sottesa a queste spettacolari strutture è precisamente quella dello spettacolo, e l'estetica espositiva si riduce a voglia di pubblico.

Tomás Saraceno, Cloud Cities, 2011. Vista dell'installazione alla Hamburger Bahnhof. Photo Jens Ziehe

Tomás Saraceno tuttavia tiene a precisare che il suo lavoro va vissuto più che soltanto osservato. Entrando nello strato superiore di queste cupole malferme i visitatori (in preda allo sgomento) improvvisamente si rendono conto di quanto la costruzione sia precaria e prendono coscienza dell'effetto che ogni loro movimento ha sulla struttura e, di conseguenza, su ciascuno degli altri visitatori. Ricordando l'autopòiesis di Humberto Maturana, Saraceno ci comunica che considera l'individuo e l'ambiente come una coppia dialettica e il suo lavoro come un apologo mirante a dare coscienza dell'inevitabile carattere riflessivo dei sistemi biologici. L'artista guarda inoltre alla sua installazione più recente sullo sfondo delle sue opere precedenti, in cui l'interesse per la mobilità, per il ciclo di vita di vari materiali e per la scoperta di nuovi valori d'uso sono temi ricorrenti.

A Cloud Cities manca il pathos dei lavori precedenti. La logica sottesa a queste spettacolari strutture è precisamente quella dello spettacolo, e l'estetica espositiva si riduce a voglia di pubblico.
Tomás Saraceno, Cloud Cities, 2011. Vista dell'installazione alla Hamburger Bahnhof. Photo Tomás Saraceno.

In Museum Aero Solar (2007), per esempio, Saraceno faceva incollare ai partecipanti sacchetti di plastica da supermercato fino a formare enormi palloni a riscaldamento solare. L'artista racconta divertito l'aneddoto del colombiano cui il marchio del supermercato Lidl ricordava l'etichetta di uno dei suoi dischi prediletti: Saraceno vede un potenziale creativo nella destabilizzazione del significato. Quando gli si chiede se veda un significato politico nel suo lavoro, Saraceno parla della natura soffocante della comodità e spiega che ha trovato grandi difficoltà nel commissionare le sfere perché nessuna azienda voleva accollarsi un'impresa così rischiosa per un compenso tanto ridotto. Ma l'artista accetta l'arduo conflitto di ogni opera come parte del suo progresso artistico e dichiara che "la vita è un lungo processo teso a disimparare ciò che abbiamo imparato". Oppure, come dice il curatore della mostra, Tomás Saraceno "realizza un'utopia fattibile", premessa della quale è la sperimentazione. Ana Teixeira Pinto

Tomás Saraceno, Cloud Cities, 2011. Vista dell'installazione alla Hamburger Bahnhof. Photo Jens Ziehe.
Tomás Saraceno, Cloud Cities, 2011. Vista dell'installazione alla Hamburger Bahnhof. Photo Tomás Saraceno.
Tomás Saraceno, Cloud Cities, 2011. Vista dell'installazione alla Hamburger Bahnhof. Photo Jens Ziehe
Tomás Saraceno, Cloud Cities. Schizzo di progetto per l'installazione alla Hamburger Bahnhof, 2011. Courtesy of Tomás Saraceno.
Tomás Saraceno, Cloud Cities, 2011 Courtesy of Tomás Saraceno.