Ai Giardini, nel Palazzo delle esposizioni, l'artista svedese presenta un parallelepipedo a base quadrata, che sulle quattro testate riporta, scolpita sul travertino, l'epigrafe mussoliniana in Palatino maiuscolo: «Un popolo di poeti di artisti di eroi / di santi di pensatori di scienziati / di navigatori di trasmigratori». È il modello architettonico in scala 1:36 dell'edificio che sorge nel quartiere EUR a Roma, Il Palazzo della Civiltà Italiana.
Disegnato nel 1937, da Giovanni Guerrini, Ernesto Lapadula e Mario Romano, l'edificio fu scelto da Mario Piacentini per celebrare il ventennale del regime fascista, in occasione dell'Esposizione Universale del 1942. La scultura è parte dell'installazione Untitled dell'artista quarantaseienne che la realizza nello stesso materiale che ricopre l'edificio originale e che gli architetti usarono per enfatizzare i valori di romanità a cui il regime si ispirava.
Posta al centro di una stanza le cui pareti sono ricoperte da frammenti di scrittura scomposti e allineati in modo "casuale", la scultura dell'artista svedese vuole esprimere il divario tra la retorica di stato e l'Italia che incontri al supermercato, rivelando in aggiunta lo stallo ideologico del nostro tempo. "La mia - spiega Holmqvist- è una forma di sovversione che parla a bassa voce".

Già Leone d'oro nel 1999, l'artista veneziana, raggiunge Berlino ventunenne nel 1986. Pensa di rimanerci pochi giorni, poi un paio di mesi ma vi si stabilisce perché trova una città molto abbordabile, senza la tensione di New York. E in qualche modo simile a Los Angeles.
In questa Biennale presenta 15 Steps to the Vergin, un'installazione di grande formato con la canzone di Mina "La musica è finita" in sottofondo. Piattaforme e gradini, a volte retroilluminati, alludono all'andamento curvo delle scale raffigurate nella Presentazione della Vergine dipinta da Tintoretto tra il 1553 e il 1556. Il suo lavoro abbonda di riferimenti specifici a discorsi teorici, politici, artistici e architettonici. Come Not For You, un'opera del 2006 in cui le lampadine che ne compongono la scritta si spengono e si accendono con il sapore di un lunapark antico, anche 15 Steps to the Vergin ha qualcosa del teatrino, o di uno spettacolino di periferia. È così che Bonvicini spiega la sua opera all'Arsenale: "Perché descrivono bene l'anima italiana. È anche un riferimento a un certo tipo di Italia, con le veline. Per quello ci metto anche Mina. Un tempo c'era Canzonissima (una popolare trasmissione televisiva di varietà, mandata in onda dalla RAI dal 1956 al 1975 n.d.r.), però insomma adesso ci sono altri show che vanno in onda. È un tipo di Italia che spero tanto finisca."

Una stanza bianca, con frammenti di archeologia industriale che sembrano opere contemporanee, è allestita con bidoni dell'immondizia presi dalle strade di alcune città ed esposti all'Arsenale come sculture o appesi come se fossero quadri, molti anni dopo Duchamp, lascia scegliere se scandalizzarsi o partecipare all'estetizzazione di un ready made già vintage e impregnato di tracce urbane. Visitandola si prova una sensazione di leggero imbarazzo. Un malessere probabilmente simile a quello del passeggero del metro di Stoccolma che nel film Paralaysed assiste alla danza, maldestra e adolescente, inscenata da Lidén sul mezzo pubblico. Quasi sempre autrice e protagonista delle proprie videoinstallazioni, questa giovane artista svedese di trentadue anni studia arte ed architettura a Berlino, dove si trasferisce senza mai terminare i suoi studi per dedicarsi interamente al suo lavoro. Lidén, cui la Biennale dedica una menzione speciale "a conferma della forza, intelligenza e rabbia insite nel suo lavoro", esplora i limiti fisici, psicologici e sociali degli spazi che abitiamo. Le sue opere provocano spesso nello spettatore lo smarrimento e insieme quella sensazione leggermente claustrofobica che si prova nell'osservare la violazione di convenzioni sociali non scritte che però regolano la nostra vita.
Opere critiche, che mettono l'accento sulla "questione" della democrazia, cosa rappresenta per il fare arte e cosa l'arte può fare per essa

Baghramian raggiunge Berlino quattordicenne fuggendo con la famiglia dall'Armenia. Incrocia il teatro tedesco, la letteratura e la danza contemporanea, che diventano il contesto della sua stessa opera perché - spiega - "non sarebbe possibile portare in mio lavoro in Arabia Saudita, in Cina o in un paese i cui governi non consentono di cogliere il significato profondo dell'arte contemporanea. La libertà è la condizione necessaria per produrre arte, e in alcuni stati questa libertà manca".
