Nel 2010, di fronte al traguardo dei vent'anni, ecco le parole che il primo segretario generale della biennale del 1990 e 1992 Amadou Lamine Sall regala al catalogo: "Subito, senza esitare, dobbiamo salutare il fatto che questa manifestazione si sia mantenuta in vita fin dal 1990. Lo dobbiamo allo Stato senegalese e alla volontà politica di conservarla buona o cattiva che sia. Da parte mia credo che, anche in stato di decomposizione avanzata, ce la dovremmo tenere. È già un acquisito incontestabile in Africa e agli occhi del mondo".
Dak'Art è la principale biennale d'arte contemporanea organizzata in Africa e l'unica biennale al mondo consacrata alla promozione dell'arte contemporanea africana. Il suo ventesimo anniversario – con una mostra internazionale e una retrospettiva – offre un'ottima occasione per analizzarla in prospettiva. L'analisi non può però non partire dalla sua decomposizione.

In Senegal il presidente è il patrono delle arti e della cultura e questo suo incarico costituzionale sembra essere strettamente connesso al lancio di nuove grandi manifestazioni. Se per il presidente Diouf (1980-2000) era la Biennale di Dakar, al presidente Abdoulaye Wade (eletto nel 2000) ne serviva un'altra. Il presidente sceglie nel 2004 di organizzare la terza edizione del Festival Mondial des Arts Négres, annunciando cinicamente il suo progetto proprio durante l'inaugurazione della Biennale di Dakar dello stesso anno. Ed effettivamente – dopo lunghe traversie e rinvii – il festival ha visto la luce poche settimane fa, a dicembre del 2010. Rispetto alla Biennale di Dakar, il Festival Mondial des Arts Nègres è però un'altra cosa. Se la prima è sostanzialmente una mostra d'arte che coinvolge musei, sedi espositive, atelier, gallerie e alcuni spazi pubblici della città; il festival è una vera e propria grande manifestazione: interdisciplinare, propriamente "festiva", ricca di concerti e spettacoli. Non solo, il festival parla un altro linguaggio: crea uno strettissimo collegamento con l'ormai leggendario festival del 1966 e con l'altrettanto leggendario presidente Senghor e valorizza un'idea di creatività e identità africana transnazionale capace di tenere insieme coloro che abitano sul continente e la grande diaspora nera del mondo. In effetti, il Festival Mondial des Arts Nègres sta alla Biennale di Dakar come il Monument de la Renaissance africaine sta alla Galleria nazionale della città: se ne può anche discutere, ma la differenza è piuttosto evidente.

La Biennale di Dakar è l'unica biennale focalizzata sull'arte contemporanea africana e la più longeva grande esposizione dell'Africa Sub-Sahariana. Sopravvissuta, per esempio, alla Biennale di Johannesbug, che ancora oggi è ricordata per essere stata una mostra visionaria e di grande respiro, estinta però dopo solo due edizioni: la prima nel 1995, piena dello slancio verso il futuro che la fine dell'apartheid annunciava; e la seconda del 1997 che ha lanciato la carriera del suo curatore Okwui Enwezor (e di molti degli artisti partecipanti). Negli anni sono poi nate altre biennali, festival e triennali d'arte (in particolare si possono ricordare gli Incontri della Fotografia africana di Bamako, la Triennale di Luanda in Angola e SUD-Salon Urbain de Douala in Camerun), ma nessuno di questi eventi è mai riuscito o è ancora riuscito ad avere la visibilità e il ruolo panafricano e internazionale della Biennale di Dakar.
Dak'Art appare su tutte le mappe che rappresentano le biennali nel mondo, studiata come esempio del franchising africano della Biennale di Venezia, ma ha le sue peculiarità. E la prima è sicuramente la disorganizzazione

Per rappresentare che cosa è la Biennale di Dakar e che cosa ha fatto in questi anni, il modo più efficace sarebbe una fotografia di gruppo. Niente opere, esposizioni e allestimenti, ma una fotografia di gruppo di tantissime persone, tutte in piedi in uno stadio che scherzano tra uno scatto e l'altro, o che se ne stanno ritte in posa con l'aria imbarazzata di chi non ha proprio simpatia per il suo vicino di posto. Dak'Art è da sempre una straordinaria piattaforma d'incontro – lo dicono tutte le recensioni fin dai suoi esordi – e lo è per persone estremamente diverse tra loro. L'eterogeneità del suo network è una delle caratteristiche che la contraddistinguono. Non si tratta solo del pubblico dell'arte che viaggia da una biennale all'altra, degli artisti sempre invitati a partecipare alla settimana di inaugurazioni dell'evento o di un pubblico generico interessato a vedere la mostra, partecipano alla biennale responsabili di organizzazioni di cooperazione allo sviluppo, antropologi, sociologi, architetti, ricercatori e turisti.
La biennale è interessante per persone molto diverse tra loro e ognuna ha le sue aspettative. Arte contemporanea, arte autenticamente africana, Africa, ripercussioni economiche, sviluppo, trasformazioni urbane, diplomazia culturale, partenariati sono alcune delle parole che ronzano nella testa di chi si avvicina all'evento aspettandosi che la mostra sia capace non solo di mostrare dell'arte (come in effetti dovrebbe essere), ma anche di fare di più e diverso, perché si tratta di una biennale africana. Effettivamente, dalla Biennale di Venezia ci si aspetta decisamente di meno. Ciclicamente, invece, i partecipanti si scontrano con la realtà che un'esposizione, alla fin fine, rimane un'esposizione. E lo sforzo di Dak'Art di assecondare richieste diverse e di provare ad accomodare tutti, mediando e cercando compromessi, è la principale causa della sua fragilità.

Un altro discorso va fatto per il "programma off", come viene da sempre chiamato il programma indipendente e a latere della biennale che ha prodotto bellissime iniziative. Da sempre, la Biennale di Dakar ha inserito tutti questi eventi all'interno della sua comunicazione, li ha sostenuti e li ha considerati parte integrante del suo programma. Giusto per ricordarne alcuni: laboratori come l'"Atelier Tenq" organizzato durante Dak'Art 1996 che ha prodotto il primo numero della rivista "Metronome"; installazioni site specific, come l'opera "Alimentation d'Art" di Dak'Art 2000 che mescolava arte e merce in un negozietto di alimentari; progetti di artisti, come "Exit Tour" del 2006, un viaggio organizzato dall'Art Bakery di Goddy Leye da Douala a Dakar su mezzi pubblici per incontrare creativi e istituzioni culturali dell'Africa Occidentale; partenariati come quello, sempre nel 2006, del network Res Artis portato a Dakar da N'Goné Fall a dare premi e selezionare artisti per i programmi di residenze internazionali. E ancora convegni e, nelle ultime due edizioni, il Festival Afropixel organizzato da Kër Thiossane che nel 2010 ha prodotto la Valigia pedagogica (un kit open source per la produzione di arte digitale e design interattivo) e la performance di Trinity Session (una spettacolare proiezione di immagini su un edificio con musica e comparse).
Di fronte al traguardo dei vent'anni, ho pensato che forse un pensierino a Dak'Art lo potevo fare anch'io. Proprio perché la Biennale di Dakar è un acquisito incontestabile in Africa e nel mondo, ho contribuito alle sue voci e alla mia playlist su Wikipedia, nella speranza che la Biennale di Dakar continui a crescere. Anche su Wikipedia. Iolanda Pensa

