Mi hanno chiesto di fare una mostra come segno di riconoscimento e rispetto per il ruolo di 'sostenitore' e promotore dei giovani che ho sempre avuto. Una motivazione che mi ha commosso. Apprezzo profondamente i giovani come quelli che gestiscono Peep-Hole, o Lucie Fontane, quella bellissima galleria che mi ha invitato lo scorso maggio a "No Soul for Sale" alla Tate Modern, con le gallerie off. In spazi come questi mi sento a casa, ecco perché li sostengo idealmente. Loro lo sanno e per questo mi hanno identificato come uno dei loro antenati.
Il tuo studio in corso San Gottardo è stato un punto di riferimento importante per tanti artisti, una fucina della creatività. Anche oggi c'è la necessità di avere spazi con quello stesso spirito?
Certo. Ho aperto il mio studio in San Gottardo appena tornato da New York, dove mi ero immerso nella vivacità artistica dell'East Village. Chiedevo a giovani scelti quasi a caso – miei allievi o studenti di altre facoltà, o anche disc jockey – se volevano fare una mostra, e poi guardavo i loro lavori con occhi di traverso. Abbiamo fatto una ventina di mostre in cui ci siamo educati a vicenda. Allo stesso modo, questi giovani galleristi/critici degli spazi off si formano con gli artisti che espongono, mettono in atto una modalità particolare di approcciare l'arte che è completamente diversa da quello dei galleristi di professione, più legati alle regole della commercializzazione. Questa tipologia di approccio è ciò che ci unisce.
Forse la recente proliferazione di spazi no profit o iniziative di promozione di giovani artisti libere dalla logica del profitto rappresenta una reazione critica alle logiche del mercato istituzionale dell'arte.
Non c'è alcun dubbio che questa sia una delle chiavi di interpretazione di questo fenomeno, che sottende una richiesta forte. È come se questi giovani chiedessero: "Lasciami pensare, lasciami sognare!" In questi spazi e in questi giovani c'è una speranza di diversità che il mondo dell'arte ufficiale non ha coltivato. Ed è questo anelito ciò che mi interessa.
Vivere queste realtà rappresenta per te un modo per rimanere in contatto con linfe vitali di ispirazione?
Sì, o almeno ci provo. Frequento comunque poco questi circuiti off, dato che mi occupo di tante altre cose tra cui la musica: suono il violoncello. Arte e musica mi assorbono con la stessa passione. Ma l'arte la coltivo da più tempo.
Il lavoro appeso in questa stanza, Quasi, autoamori di Johnny, è un inedito di sei anni fa. Perché non l'hai mai esposto?
Perché ci voleva una galleria come questa. E poi io non ho fretta e non chiedo nulla a nessuno, non perdo tempo a chiedere cose agli altri, è una pratica che non mi interessa. L'avevo tenuto in una cartellina che l'occasione di questa mostra mi ha fatto venir voglia di aprire. Un luogo come questo era ideale per ospitare un'opera coraggiosa che racconta una sequenza di masturbazioni di una stessa persona, registrate su carta con annotazioni precise dell'orario in cui sono avvenute. Sui 28 fogli appesi diagonalmente nella stanza principale della galleria ci sono da un lato dei disegni astratti e dall'altro le annotazioni: testo e immagine corrono su un doppio registro. Tutto è giocato sulla contrapposizione del carattere transeunte e sfuggente dell'erotismo a quello rigido e permanente della forma data al tempo. La tensione dell'opera risiede nello scarto tra questi due elementi. La mostra risulta così "in punta di sorriso".
Questo 'sorriso' lo ritroviamo nella seconda stanza, che rappresenta la fine oppure l'inizio di tutto il lavoro, si è liberi di deciderlo. Un unico foglio porta la scritta "Johnny si masturba nell'altra stanza", nella quale si torna per scoprire i tre versi di Una poesia scritti sulla parte inferiore di una parete. Cosa lega questi due lavori?
Si tratta di una poesia scritta sette o otto anni fa come risposta a un'affermazione di Carol Rama, che sosteneva fossi simili a un suo amico. Per protesta verso questo paragone improprio le scrissi questa poesia. In ogni suo verso cambiano il ritmo e il quadro di riferimento. La trovo ancora oggi molto bella. L'ho voluta accostare a Johnny perché entrambe presentano lo stesso esercizio di tenuta formale: in entrambe l'erotismo è frenato da un desiderio, inutile e necessario allo stesso tempo, che ha bisogno di movimento per essere soddisfatto. Entrambe lottano contro la forma, che ha una tenuta che sfida il tempo: a un desiderio di permanenza si contrappone l'erotismo sfuggente.
Carol Rama ha mai risposto a questa poesia?
Certo. Per tutta una notte ha lavorato a un quadro spudoratamente 'tenuto', ma spudoratamente giusto.