Deferring the habitual

Le visioni di otto artisti turchi, riuniti in una mostra a Seoul, raccontano una realtà sfaccettata che non ricalca i canoni comuni dell'identità nazionale. Testo Pelin Uran.

Gli artisti di cui parliamo in queste pagine vivono o sono nati in Turchia e saranno protagonisti di una mostra di imminente apertura a Seoul. Anche se sono tutti originari della stessa nazione, questo non basta a far sì che il loro lavoro si fonda in un'unica opera, o racconti un contesto unificato e denso di significati. Al contrario, esso delude le aspettative rifiutando di agganciarsi al concetto di identità nazionale. Quello che gli artisti hanno in comune è che se da un lato il loro approccio all'arte comunica visioni diverse, dall'altro comunica la stessa visione in modo diverso. Un gesto artistico può essere politico quando cambia il mondo visibile – il modo di percepirlo ed esprimerlo (vedi Jacques Rancière, The Politics of Aesthetics, New York 2004) – e in quel senso le opere mirano non solo a rivelare gli aspetti politici più palpabili e visibili, ma anche quelli più sottili e invisibili. Prendendo come punto di partenza la relazione dell'uomo con architettura e natura, industrializzazione, modernità e insoddisfazione moderna, Emre Hüner utilizza il disegno, l'animazione e il video come strumenti espressivi. La sua critica alla modernità si concentra sulla progressione lineare della storia. Parte da materiali ricavati da Internet, fotografie e libri trovati per caso. Panoptikon, del 2005, è un video animato di undici minuti, e consiste in una serie di oggetti disegnati separatamente su carta, che vengono fatti incontrare in un ambiente digitale usando le tecniche di animazione bidimensionali. Quando le immagini scorrono senza seguire una vera logica, come in un sogno, il pubblico è invitato a esaminare i cosiddetti sviluppi della società moderna razionale, quindi anche l'evoluzione della scienza moderna, della macchina militare moderna e dell'estetica dell'architettura moderna. L'immaginario criptico e sontuoso e la struttura visiva di Panoptikon sono ispirati alle miniature ottomane e ai disegni di anatomia medievali, ma anche al linguaggio cinematografico sperimentale di alcuni registi. L'opera prende il suo titolo dall'utilizzo che Michel Foucault fece di una prigione modello per descrivere la teoria della sorveglianza nella società moderna.

Se Hüner si focalizza sulle insoddisfazioni della modernità, le opere video di Ali Kazma preferiscono monitorare il bisogno umano di ordine. Questo bisogno, come è descritto nei lavori dell'artista, si manifesta nel lavoro manuale come anche nell'arte e nella scienza. La sovrapposizione del lavoro creativo manuale con la pura manovalanza riconfigura la stessa attività lavorativa. Obstructions, girato tra il 2005 e il 2008, è una serie di video nei quali l'artista ha filmato diversi luoghi di produzione, creazione, restauro e manutenzione, come per esempio una fabbrica di elettrodomestici, il laboratorio di un orologiaio e lo studio di un artista. Kazma mette in luce il bisogno di ordine seguendo in modo ossessivo lo svolgersi di un processo e, nel farlo, ricorda l'osservazione meticolosa del processo che era tipica degli artisti concettuali degli anni Sessanta. Nelle opere di Kazma questa osservazione si trasforma in un'analisi estetica del lavoro: gli aspetti formali controllano il risultato finale. I suoi video rendono esplicito lo sforzo eccessivo richiesto nella produzione di un qualsiasi oggetto per la casa. E il montaggio di video diversi come la fabbrica di casalinghi e il laboratorio dell'orologiaio svela una serie di significati inattesi.

L'interesse di Banu Cennetoglu per il carattere incerto e ambiguo delle immagini la porta a fotografare spazi che sono in qualche modo transitori e instabili, e a interrogarsi sulla potenzialità dell'incertezza che vi è insita. Il senso di ambiguità è amplificato dalle stesse installazioni: sono fatte in modo che il pubblico non possa afferrarle nella loro totalità, così che l'esperienza dell'osservatore diventi automaticamente più consapevole. L'opera Are there any palm trees in Grozny?, del 2005, è formata da una serie di fotografie montate in un video che mostrano luoghi tra cui uno stabilimento balneare, il campo di ricreazione delle ferrovie di stato turche e una caserma. L'opera, anche solo attraverso l'osservazione di queste particolari giustapposizioni, documenta lo sviluppo di situazioni incerte e ambigue. L'impressione di essere sempre spiati è molto intensa, visto che la maggior parte delle fotografie è scattata da lontano. C'è un'irrequietezza latente, perché tutto sembra normale. Cennetoglu, nel raccogliere e montare tutto il materiale senza riconoscere nessuna priorità a un sito rispetto a un altro, introduce nel suo video una tensione sottile eppure profonda.

Invece, l'opera di Asli Cavusoglu esplora la disinformazione che fluisce nell'informazione quotidiana. La sfera fittizia creata dall'artista diventa uno spazio dove la critica si può esercitare nell'esame di nozioni normalmente assorbite nel circuito veloce dell'informazione. Utilizzando lo humour come strategia chiave nelle sue opere, Cavusoglu riesce a sfumare la linea di confine tra fantasia e realtà, preferendo la fantasia in quanto approccio creativo e immaginario alle riflessioni sull'argomento al centro dei suoi lavori. Steve, Macy, Gabriel, Michael, Donna, Ally and the Others, del 2006, è un'installazione che si compone di quarantotto immagini acquisite da una banca immagini usata di solito dall'editoria e dalla pubblicità. L'artista le ha classificate in tre categorie: salute e bellezza, lavoro e relazioni sociali. Dopo aver ridipinto queste immagini generiche, Cavusoglu le ha sovrapposte con strane storie individuali che non hanno nessun tipo di legame con la fotografia originale. Questa opera destruttura immagini che per molto tempo sono state usate come strumenti per sedurre i consumatori mostrando esempi immediati di bellezza universale, giovinezza e successo, e mette in discussione il significato che di solito viene loro associato.

La disinformazione nella vita di ogni giorno è l'interesse centrale anche di Isil Egrikavuk, artista laureatasi da poco all'università delle arti performative. La sua attività si basa su distruzione, esame e ricostruzione dell'informazione dal punto di vista linguistico e visivo, quotidianamente, attraverso performance, video e scrittura. Anche lei sfuma il confine tra realtà e fantasia. Il progetto Snapshot del 2007, per esempio, era una performance che investigava la realtà, il modo in cui veniva descritta e di conseguenza la costruzione della storia. L'artista ha trasformato una galleria di Chicago in una redazione dove i titoli estratti dalla stampa statunitense erano isolati dal loro contesto storico e geografico e ri-posizionati. Al pubblico veniva chiesto di scegliere un titolo a piacimento e di completare la notizia in modo autonomo, inventandola liberamente. Le notizie così create erano poi lette da due veri giornalisti televisivi di Chicago. Il progetto mirava a mettere in discussione il modo di fare cronaca dei media principali e a 'democratizzare' la funzione dell'informazione attraverso la partecipazione del pubblico.

Il modo di fare arte delle performance di Egrikavuk è strettamente legato alle opere del collettivo artistico Ha za vu zu. Qui gli artisti forgiano la loro espressività costruendo situazioni con individui o gruppi di individui con i quali instaurano relazioni sociali – molto simili all'estetica situazionale. La natura interdisciplinare del loro lavoro si rivela non soltanto dall'oscillazione continua tra performance, musica e video, ma si esprime anche in collaborazioni che domandano un costante scambio di ruoli tra l'artista, il regista, l'interprete, e quindi un'ininterrotta ri-negoziazione dei rapporti di potere. Nella performance Our Teeth Will Be Snow White, del 2007, frammenti di parole e di frasi erano proiettati su un collage di immagini tratte dai media. Il suono delle parole spezzate è stato usato per dare importanza al gesto elementare della comunicazione, liquidando invece la funzione discorsiva del linguaggio. Queste performance, dirette da Ha za vu zu, furono preparate con molte prove, senza lasciare alcun margine all'improvvisazione. Quindi nella performance si è verificata un'incongruenza tra i suoni e le esclamazioni cacofoniche, suggestive e immediate che la compongono, e la lunga preparazione necessaria per realizzarla.

Tutta l'arte parte da una critica: la critica di sé, in quanto riflesso della società. In questo contesto, le opere video di Asli Sungu rappresentano un commento acuto sulle aspettative che gli altri proiettano sull'individuo. Per riflettere su questo fardello oneroso, l'artista inizia dalla sua parte più intima. Infatti è spesso la protagonista dei suoi video, nei quali affronta esperienze spiacevoli. La sua installazione Just Like Mother, Just Like Father, del 2006, si compone di due video nei quali mostra come i suoi genitori proiettino su di lei desideri e aspettative riguardo a come dovrebbe essere. L'artista chiede a entrambi i genitori, a turno, di vestirla, truccarla e pettinarla come desiderano. Il divario tra lo stile personale dell'artista e i due stili che scelgono per lei i genitori è spiazzante. Evidenziando all'interno del contesto familiare la proiezione delle aspettative, l'artista ha fatto emergere le diverse pressioni del contesto sociale sul singolo individuo.

L'investigazione dei modelli di comportamento sociali è un elemento ricorrente anche nelle opere di Nasan Tur, che utilizzano fotografia, video, installazioni, performance e interventi personali. La ricerca di Tur, messa in scena da lui stesso o da altri protagonisti, si concentra su gesti pianificati, eppure inusuali. Di solito si realizzano in spazi pubblici e, per esprimere il loro significato, hanno bisogno della partecipazione attiva del pubblico. La sua opera può essere considerata come uno spunto: un modo per immaginare e realizzare qualcosa di poco plausibile, quando la routine quotidiana si interrompe o si espande senza controllo. Backpacks, del 2007, è un'opera composta da diversi zaini, ognuno dei quali contenente gli strumenti necessari per parlare in pubblico, cucinare, manifestare, sabotare e per i fan (come li vede l'artista). Tur mette questi materiali a disposizione del pubblico e gli lascia decidere liberamente per che scopo utilizzarli. Gli zaini giacciono immobili nel luogo della performance, in attesa che il pubblico li utilizzi e li renda vivi.
Asli Cavusoglu, <i>Steve,
Macy, Gabriel, Michael,
Donna, Ally and the
Others</i>, 2006
Asli Cavusoglu, Steve, Macy, Gabriel, Michael, Donna, Ally and the Others, 2006
Asli Cavusoglu,<i> In
Patagonia after Bruce
Chatwin</i>, 2008
Asli Cavusoglu, In Patagonia after Bruce Chatwin, 2008
Asli Sungu,
<i>Just like mother, just
Like father</i>, 2006
Asli Sungu, Just like mother, just Like father, 2006
Ali Kazma, <i>Obstructions:
Rolling Mills</i>,
2007
Ali Kazma, Obstructions: Rolling Mills, 2007
Ali Kazma,
<i>Obstructions: Household
Goods Factory</i>,
2008
Ali Kazma, Obstructions: Household Goods Factory, 2008
Isil
Egrikavuk, <i>Snapshot</i>,
2007
Isil Egrikavuk, Snapshot, 2007
Emre Hüner,
<i>Panoptikon</i>, 2005
Emre Hüner, Panoptikon, 2005
Banu Cennetoglu, <i>Scary Asian Men</i>,
2005
Banu Cennetoglu, Scary Asian Men, 2005
Ha
Za vu Zu, exhibition in
Lokaal 01, 2008 (Lokaal
01, Antwerp, Belgium
Ha Za vu Zu, exhibition in Lokaal 01, 2008 (Lokaal 01, Antwerp, Belgium
Banu Cennetoglu, <i>Are there any
palm tres in grozny?</i>,
2005
Banu Cennetoglu, Are there any palm tres in grozny?, 2005
Ha Za Vu Zu,
<i>Our Teeth Will Be
Snow White</i>, 2007 (10th
International Istanbul
Biennial)
Ha Za Vu Zu, Our Teeth Will Be Snow White, 2007 (10th International Istanbul Biennial)
Ha Za vu Zu, <i>Dog Choir</i>,
2007 (Karsi Sanat Gallery,
Istanbul)
Ha Za vu Zu, Dog Choir, 2007 (Karsi Sanat Gallery, Istanbul)

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