La fotografia d'architettura è un genere poco praticato da Martin Parr. Anche se l'architettura è spesso presente nelle sue foto, lo è soprattutto come uno scrigno: lo scrigno spesso pacchiano e deformante delle turpitudini e delle vanità umane.
Il fatto di associarlo al nome di Gio Ponti può parere dunque sorprendente: ma non si può dimenticare quanto l'architettura d'interni e la decorazione siano centrali nel suo lavoro. In quello del 1974, quando ha realizzato un'installazione intitolata Home Sweet Home – una riflessione sulla fotografia documentaria fatta grazie alla ricostruzione di un interno kitsch.
Ma anche in seguito ha sempre mostrato un grande interesse per gli interni, l'arredamento e gli oggetti: da June Street che due anni prima – nel 1972 – fotografava alcune famiglie all'interno delle loro abitazioni alla maniera di Bill Owens, fino alla serie Sign of the Times dell'inizio degli anni Novanta, sull'arredamento degli interni della classe media britannica. Detto ciò, si può spiegare l'accostamento con colui che, a partire dagli anni Venti, ha cercato di riconciliare una certa modernità con il concetto stesso di ornamento e decorazione.
Le immagini di Martin Parr della Villa Bouilhet di Garches, a pochi chilometri da Parigi, sorprendono per la loro compostezza. Si cercherà invano l'ironia mordace che di solito caratterizza – talvolta in modo fin troppo sistematico – il suo stile. Vi si troverà innanzitutto un occhio impaziente di inquadrare la quiete e la calma, una certa armonia dei luoghi e delle tonalità cromatiche, quella di uno spazio invaso dalla luce autunnale che penetra dalle grandi vetrate.
Posando il suo sguardo qui e là, Parr evoca intelligentemente uno spazio totale, in cui il neoclassicismo di Ponti si esprime senza ostentazione, con ritegno, in una moltitudine di dettagli: dalle celebri applique murali alle maniglie delle porte.
Ma attraverso tutto ciò, a differenza dei suoi lavori precedenti, Parr è ansioso di mostrare un vero luogo abitato, uno spazio privato in cui traspaiono vicende, abitudini e gusti umani: uno spazio vivo, agli antipodi di una concezione museale e irrigidita che si potrebbe associare a un luogo così carico di storia. Quentin Bajac