Come ogni anno, la Giornata Mondiale dell'Architettura si celebra il primo lunedì del mese di ottobre. Per l'occasione, Domus ha raccolto dieci opere tra le più celebri del '900.
Le 10 architetture del ’900 che tutti dovrebbero conoscere
Anche quest’anno celebriamo la Giornata Mondiale dell’Architettura. Per l’occasione, vi proponiamo una selezione di opere del ventesimo secolo iconiche ed imprescindibili, da New York a Sydney, da Tokyo a São Paulo, da Mies van der Rohe a Zaha Hadid.
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- Chiara Testoni
- 07 ottobre 2024
Fotografate come celebrità, osannate dagli estimatori o esposte agli strali dei detrattori che, come spesso è accaduto in passato (e accade ancora), restano interdetti di fronte a una dirompente innovazione, le opere dei grandi maestri dell’architettura del ventesimo secolo sono ancora oggi capaci di emozionare e stupire, restando vivide testimonianze del pensiero rivoluzionario di chi le ha concepite. Non è un caso che questi edifici siano meta di pellegrinaggio per gli entusiasti della materia, dagli studenti alle prese con l’abc dell’architettura, agli studiosi, ai professionisti che intraprendono interi viaggi per toccare con mano l’opera del genio, sperando di assorbirne in qualche modo la linfa intellettiva, quasi di venirne illuminati.
Proponiamo una selezione ragionata di opere che, pur nella diversità di contesti geografici e storico-culturali, hanno scritto la Storia dell’Architettura aprendo la strada al pensiero progettuale contemporaneo: dalle opere organiche (Casa Kaufmann, Sydney Opera House), a quelle moderniste (Seagram Building), brutaliste (Unité d’Habitation, Torre Velasca, SESC Pompeia), metaboliste (Nagakin Capsule Tower), decostruttiviste (Vitra Fire Station, Guggenheim Museum Bilbao) e High Tech (Centre Pompidou). Con l’intento di fornire, anche a chi è “digiuno” del mestiere e indipendentemente dal personale gradimento di ogni singola opera, una chiave di lettura per decifrarne le ragioni e il linguaggio, e collocarla consapevolmente tra i capolavori architettonici più alti di sempre.
Wright diceva che “se ascolti il suono di Fallingwater ascolti la quiete della campagna”. È in questo rapporto simbiotico tra artificio e natura che si coglie la genesi del progetto, capolavoro indiscusso dell’architettura organica. Adagiata tra le colline di Mill Run sulla cascata naturale di Bear Run, la casa con i suoi dirompenti volumi rivestiti in pietra di cava che richiama la stratificazione delle rocce del sito, e le terrazze audacemente aggettanti sottende l’inesausta ricerca di un equilibrio tra uomo, tecnologia e paesaggio.
L’intervento nasce per soddisfare il fabbisogno abitativo della popolazione di Marsiglia per il dopoguerra. Il complesso di 18 piani ospita 1.600 alloggi articolati in 337 appartamenti duplex ed è caratterizzato dall’uso diffuso del calcestruzzo grezzo. Nonostante le dimensioni monumentali che suggeriscono l’idea di de-personalizzazione e smarrimento, l’intervento rivolge un’attenzione scrupolosa agli spazi di socializzazione e ai servizi pubblici: la scuola, la biblioteca, l’asilo, l’hotel, il tetto a terrazzo, la piscina, il supermercato, la lavanderia e i negozi animano un microcosmo su pilotis autonomo e organizzato.
Iconico simbolo dell’urbanitas milanese, la Torre Velasca rappresenta la voglia di rialzarsi di una città devastata dalla guerra che guarda al futuro con un forte rimando al passato. Realizzata completamente in cemento armato con finiture in graniglia di cotto e di marmi rosa veronesi (che conferiscono all’edificio una tonalità calda) ospita negozi, uffici e appartamenti; la sua morfologia caratteristica è un omaggio alla città verticale che si stava sviluppando negli anni ’50 con un riferimento allo skyline storico della città, costellato di torri e campanili, ed in particolare alla torre del cortile delle Armi del Castello Sforzesco.
Il grattacielo, progettato da Mies con la collaborazione di Philip Johnson come quartier generale delle distillerie Joseph E. Seagram's & Sons, rappresenta uno dei massimi esempi di equilibrio tra forma e funzione in architettura, oltre che uno dei principali manifesti del movimento moderno nella sua maturità. Uno scheletro strutturale in acciaio, rivestito esternamente in bronzo ma portato a vista per denunciare il sistema costruttivo, supporta la facciata in vetro fumè e delinea prospetti dal ritmo serrato e dall’eleganza composta. Uno schema compositivo divenuto paradigma di riferimento per molti grattacieli negli Stati Uniti e in tutto il mondo.
L’opera ad uso misto (residenziale e terziario) era uno degli esempi più rappresentativi del movimento Metabolista giapponese che vedeva nella città e nella società organismi viventi in continua crescita e trasformazione, alle cui necessità solo la tecnologia poteva dare risposte concrete. Il complesso era composto due torri collegate fra loro su cui si innestavano 140 capsule prefabbricate e autonome, ciascuna sostituibile ogni 25 anni. Fortemente degradato nel corso degli anni, è stato demolito a causa degli elevati oneri di recupero.
Considerata una delle architetture più celebri del XX secolo e simbolo indiscusso di Sydney, l’opera situata in una posizione privilegiata nella baia, su un lembo di terra circondato dal mare per tre lati, è composta da tre corpi di fabbrica (la Concert hall per 2.600 posti, il Teatro dell’Opera e il ristorante) disposti su una piattaforma in granito. Elemento caratteristico del complesso sono le coperture a guscio, elaborate a seguito di una lunga ricerca e ispirate agli spicchi di un’arancia, costituite da costole in cemento prefabbricato e rivestite in piastrelle bianche.
Il Centro Nazionale d'Arte e di Cultura Georges Pompidou, detto anche Beaubourg dal nome del quartiere, è un centro culturale multifunzionale divenuto celebre per sovvertire interamente i canoni dell’architettura museale, fatta di spazi aulici e di rappresentanza. Un parallelepipedo solcato in facciata da un dedalo di scale, con gli elementi strutturali e gli impianti (di colore diverso a seconda della loro funzione: blu per la climatizzazione, giallo per l’elettricità, rosso per gli ascensori e verde per i circuiti dell’acqua) portati all'esterno, racchiude spazi flessibili e si pone come paradigma di una “macchina” espositiva schietta ed efficiente, o come opera d’arte irriverente alle convenzioni.
L’intervento di recupero e ampliamento del SESC Pompeia, per anni una fabbrica di fusti metallici, rientrava in un programma di rigenerazione socioeconomica di un’area al tempo ancora semiperiferica della città. Il progetto (realizzato a partire dal 1977, tra ritardi, fermi e riprese) prefigurava di trasformare il complesso industriale in una “cittadella” dello svago e del tempo libero e riguardava la ristrutturazione dei capannoni per ospitare un teatro, una biblioteca, spazi espositivi, per la socializzazione, e la realizzazione di tre nuove torri di diversa altezza e volume (una cilindrica e due prismatiche) per servizi diversi, tra cui sport e sale da ballo. L’impronta brutalista dei fabbricati ex novo è leggibile nei volumi “muscolari” in cemento armato a vista, ravvivata, nel volume più grande, dal tocco delle aperture irregolari su fondo rosso.
Commissionato da Vitra come edificio di servizio antincendio per il complesso aziendale (dopo l’incendio del 1981), la costruzione dai volumi ruvidi e spigolosi in cemento armato a vista, manifesto del decostruttivismo, sembra un manufatto frantumato e ricomposto a seguito di una misteriosa esplosione delle forme. Oggi ospita gli spazi espositivi e gli eventi del Vitra Design Museum.
Il museo di arte contemporanea, inaugurato nell’ambito di un ambizioso processo di rivitalizzazione della città di Bilbao e della provincia di Biscaglia intrapreso dall'amministrazione pubblica dei Paesi Baschi, è un esempio di marketing territoriale di successo che, fino dall’apertura, ha catalizzato l’interesse dei visitatori da tutto il mondo, divenendo il simbolo della città. Il volume spettacolare, in cui è apparentemente arduo scovare una sola superficie piana, rivestito in lastre di titanio e blocchi di pietra calcarea, sembra acquisire la forma di una nave se visto dal fiume, di un fiore visto dall’alto o più da vicino di un intricato inviluppo di lamiere che brillano al sole in modo diverso a seconda della posizione dell’osservatore.