Lo sapeva già Le Corbusier quando nel 1911, nel suo “Viaggio in Oriente” alla scoperta delle radici del costruire, dai Balcani passando per Turchia e Grecia e ritornando attraverso l’Italia, coglieva nelle geometrie elementari prive di alcun apparato decorativo, nelle coperture piane, nel dialogo “estatico” con la luce, nel bianco puro delle architetture spontanee del Mediterraneo i principi fondativi della propria visione di architettura “moderna”: il vernacolo mediterraneo è stato ed è ancora una fonte inesauribile di ispirazione per la progettazione, dal XIX secolo ad oggi.
E lo sanno anche gli architetti dello studio leccese che nelle campagne riarse dal sole del Salento hanno realizzato la casa-atelier per un artista che si divide tra la Puglia e Francoforte.
L’edificio, reinterpretando l’impianto schietto e rigoroso e l’essenzialità volumetrica delle immacolate costruzioni anonime del Sud, si inserisce nel paesaggio senza alcun intento mimetico, come nella migliore tradizione razionalista, dichiarando anzi il suo volume nitido e scultoreo in vivido contrasto con le asperità della terra brulla e rossa che lo circonda.
Due volumi parallelepipedi, connessi da un corpo vetrato orientato est-ovest, offrono una chiara ripartizione funzionale: a sud-est la zona giorno, concepita come un unico spazio fluido, connessa al giardino attraverso il portico che dilata la vita domestica verso la piscina; a nord-ovest, la zona notte parzialmente incastonata nella terra.
“È una tipica abitazione mediterranea, dove la comprensione del rapporto con il luogo ha un ruolo centrale nella concezione e nella realizzazione dell’architettura” spiegano gli architetti di Fma. E, infatti, l’edificio è concepito come una “casa-osservatorio” che guarda il paesaggio attraverso aperture mirate, dalle grandi vetrate affacciate sulla piscina, ai tagli orizzontali della zona notte che inquadrano la campagna, agli oblò dei bagni gemelli.
Gli interni irradiati di luce giocano con la palette materica dai toni neutri di arredi e rivestimenti, come se l’intera casa fosse un candido canovaccio per le esplorazioni artistiche del suo proprietario.