Se non si considerano gli effetti talvolta devastanti che la sua forza incontrollabile può produrre (dai tempi di Noè), l’acqua, elemento fondamentale della vita sul pianeta, diventa un mezzo di progettazione più spesso di quanto non sembri, interagendo col disegno architettonico che, parafrasando il film di Guillermo del Toro (“La forma dell’acqua”, NdA), conferisce alla sostanza fluida una “forma”. Sopra, sotto, di fronte, attraverso l’acqua: sono alcune delle molteplici declinazioni progettuali lungo il solco tracciato da Vitruvio che, nel libro Ottavo del “De Architectura”, ascriveva al prezioso liquido una duplice valenza: funzionale, come infrastruttura che innerva la città e il territorio, e poetico/filosofica, come strumento di indagine scientifica sulla struttura dell’Universo, evocativa di intimi equilibri tra artificio e natura. Diventa evidente come, a dispetto di ogni assunto, sia spesso l’acqua a dare forma e funzione all’architettura. Lo fa oggi più che mai, in un contesto di crisi climatica che con l’innalzamento del livello marino porta la sparizione di interi tratti costieri, la ricollocazione di insediamenti quando non di intere città, e la nascita di nuove tipologie per città dempre più d’acqua come Kunlé Adeyemi di NLÉ ci ha mostrato con le sue pluripremiate Floating Schools sviluppate in Nigeria.
10 progetti in dialogo con l’acqua: le architetture anfibie selezionate da Domus
Quando l’acqua diventa elemento poetico, o ragione stessa di una scelta progettuale, nascono storie di architetture uniche o rivoluzionarie: ne abbiamo selezionate 10, tra Carlo Scarpa e Snøhetta, passando per il Rio delle Amazzoni.
Foto fusion-of-horizons da Flickr
Foto fusion-of-horizons da Flickr
Foto Šarūnas Burdulis da wikimedia commons
Foto Esparta Palma da Flickr
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Domus 548, luglio 1975
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Foto Visit Oslo da Flickr
Foto Daniel Andersson da Flickr
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Domus 988, febbraio 2015
Domus 988, febbraio 2015
Foto DarrenChung
Foto Oliver Pohlmann
Foto Kurt Hollander
Foto Kurt Hollander
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- Chiara Testoni
- 17 giugno 2024

In sintonia con questo approccio duale, proponiamo una selezione di opere progettate da grandi architetti che, nonostante le differenze linguistiche e di contesto, interpretano l’acqua come materiale “strutturante” della progettazione, appianando la dicotomia tra funzione e poetica. Opere che vengono a patti con l’aleatorietà dell’elemento naturale, senza opporvisi ma introiettandolo nella costruzione (Carlo Scarpa; De Urbanisten); che si adattano ad esso come architetture “anfibie” (Baca Architects, Leticia); che ne fanno una presenza intimamente intrecciata alla propria vita (Luis Barragán; Álvaro Siza); che sfruttano il paesaggio acquatico per le sue caratteristiche funzionali legate all’individuo e alla collettività (Louis Kahn; Ro&ad) o per aprire nuove prospettive su paesaggi inusuali (Diller Scofidio + Renfro, Snøhetta).
In generale, si tratta sempre e comunque di architetture viventi che mutano nelle configurazioni, nelle modalità percettive e fruitive, nei riflessi di luce in funzione del liquido imprevedibile con cui si interfacciano, proprio come fosse la materia amorfa e inafferrabile a dare forma (e sostanza) alla materia solida e inerte, e non viceversa.
Immagine di apertura: Il Teatro dell'Opera di Oslo. Foto VisitOslo da Flickr
La dimora storica di origine cinquecentesca è oggi sede della Fondazione Querini Stampalia, casa-museo e luogo di studio e ricerca. L’intervento di Carlo Scarpa, oltre al restauro e al consolidamento generale dell’edificio, riguardò soprattutto il piano terra con la realizzazione del nuovo ponte di accesso, l'eliminazione delle superfetazioni ottocentesche, la valorizzazione del giardino attraverso la messa a dimora di piante e di una fontana. Il frequente e problematico fenomeno veneziano dell’acqua alta è trattato come fonte di ispirazione progettuale: un sistema di gradoni e vasche accoglie e controlla l’acqua che “allaga” il piano terra in caso di marea superiore alla media, creando giochi di riflessi e trasparenze, e uno spazio inedito.
Il complesso comprende un’abitazione con annessa scuderia e maneggio ed è caratterizzato da volumi scarni ed essenziali accesi da forti blocchi cromatici, in un rapporto osmotico con i cortili e spazi all’aperto. L’acqua è concepita come elemento funzionale integrante della vita domestica, insinuandosi tra i volumi, sgorgando da fontane e creando grandi specchi dove uomini e cavalli (componenti della famiglia a tutti gli effetti) possono bagnarsi per trovare sollievo dal caldo.
Il complesso, che comprende otto mastodontici volumi in cemento e laterizio ispirati da geometrie primordiali e distribuiti attorno alla sala dell’assemblea centrale, è immerso in un lago artificiale che raccoglie le piogge monsoniche e che, insieme all’enorme massa della costruzione, funge da isolante naturale e sistema di raffreddamento.
Il complesso – che comprende gallerie per esposizioni temporanee e permanenti, un teatro polivalente da 330 posti, un ristorante, una libreria, strutture per corsi/laboratori e uffici amministrativi – è delimitato dalla Harbour Walk, un percorso pubblico che il progetto incorpora a sua volta; lo stesso molo al centro di questa composizione diventa una quinta scenica per una tribuna che si apre dall’edificio verso l’acqua. La relazione visiva con l’acqua è infatti il leitmotiv della composizione; un’acqua che filtra da diverse prospettive e inclinazioni: direttamente dalle ampie vetrate trasparenti che propongono un’esperienza immersiva nel contesto del porto, e in modo più sfumato dalle superfici opache del monolitico volume aggettante.
Il complesso dell’Opera House è un importante volano di rigenerazione nell’ex area portuale in trasformazione di Bjøzvika. La struttura rivestita in granito bianco svedese e marmo di Carrara si staglia nel paesaggio come un monumentale iceberg che spunta dal fiordo e che sfuma i confini tra terra e acqua in cui sembra inabissarsi, con la copertura inclinata che funge da promenade urbana.
Costruito lungo West Brabant Water Line, in origine una linea di difesa su cui si erge un gruppo di fortezze del XVII secolo recentemente riqualificate, il ponte d’accesso progettato da Ro&ad a un forte seicentesco è un attraversamento “in trincea” scavato nell’acqua del fossato, rivestito in legno Accoya e praticamente invisibile, che evoca la suggestione della separazione delle acque praticata da Mosé nel Mar Rosso secondo la Bibbia.
La piazza d'acqua Benthemplein svolge una duplice funzione: è sia uno spazio pubblico sia un “collettore” di acqua piovana. Nella stagione secca, la piazza è uno spazio animato per il quartiere, accuratamente progettato nei percorsi, nelle aree verdi e di sosta. Quando piove, tre bacini (dei quali il più grande è anche un campo sportivo e un teatro all’aperto) si trasformano, nel caso di fenomeni minori, in bacini di raccolta delle acque piovane o, nel caso di fenomeni più intensi, in veri e propri bacini di decantazione per il riciclo delle acque.
Situato nel New Salt Industrial Park di Huai’An City, quello della Shihlien Chemical Industrial Jiangsu Co. è uno degli impianti di produzione di carbonato di sodio e cloruro di ammonio più grandi del mondo. Il progetto ha inteso realizzare un edificio che si fondesse perfettamente con l’acqua e la cui identità fosse riconoscibile a livello internazionale. Interamente realizzata in cemento bianco a vista e distribuita su due livelli, la sua forma curvilinea evoca la forma di un drago, elegantemente sospeso sul pelo dell’acqua.
Una casa “anfibia” è un edificio che appoggia sul terreno ma ogni volta che si verifica un'inondazione l'intero edificio si solleva nel suo bacino dove galleggia, sostenuto dall'acqua. Tale tecnologia, ideale per le aree ad alto rischio di inondazioni e in contesti paesaggistici vincolati, fonde tecnologie provenienti dall'industria edilizia con quelle marittime ed è stata impiegata per la prima volta in Inghilterra da Baca architects, in una zona soggetta ad alluvioni sulle rive del Tamigi: sebbene dotata di fondamenta fisse, l’abitazione composta da una struttura indipendente intelaiata in legno e rivestita in scandole di zinco è in grado di sopraelevarsi e “galleggiare” sull’acqua fino ad una quota di 2,5 m.
La città fondata come porto nel 1867 sulle rive del Rio delle Amazzoni vive in rapporto biunivoco con il fiume grazie alle sue case anfibie: edifici disposti sul suolo che, in caso di alluvioni, si alzano e galleggiano come barche sostenute dalla forza dell’acqua. Nella zona del porto, quando il fiume è al livello più basso, sulla collina svettano case appoggiate su tronchi e massi; quando il fiume comincia a salire, gli edifici crescono per metà sulla terraferma e per metà nell’acqua; quando il fiume raggiunge il livello massimo, le case galleggiano sull’acqua, legate da funi ad ancore di metallo.