Modernismo e sostenibilità in Kenya

Una casa per vacanze progettata dallo studio Pat su un’isola equatoriale ridefinisce il concetto di lusso in una chiave di semplicità, funzionalità e minimo impatto ambientale, sulle orme di Pierre Koenig.

Per Andrea Veglia, co-fondatore dello studio torinese PAT. architetti associati, l’architettura è una questione di contesto: non nel senso di opera pedissequamente incline al vernacolo o al camouflage ma, piuttosto, di organismo adattivo che risponde alle condizioni fisiche e climatiche del luogo in cui si inserisce e da cui fa scaturire, quasi deterministicamente, il suo lessico compositivo e tecnologico.

Un approccio intellettuale che trova espressione nell’essenzialità formale, nella schiettezza costruttiva, nei valori di funzionalità ed economicità propri del Modernismo statunitense (da Craig Ellwood, a John Lautner, a Paul Rudolph) e nel pensiero pionieristico di Pierre Koenig in materia di risparmio energetico e benessere microclimatico, che Veglia ha approfondito negli anni, dai tempi dei suoi studi americani.

Questa villa su un isola selvaggia del Kenya ne è un limpido esempio.

Manda Island è un’isola senza elettricità né acqua corrente, accessibile solo via mare. É qui che un imprenditore, affascinato dai rigorosi volumi brutalisti, inghiottiti dalla vegetazione, delle ville a Portisco in Costa Smeralda progettate da Ferdinando Fagnola e PAT. architetti associati, ha deciso di realizzare il suo buen retiro, rivolgendosi ai medesimi progettisti per dare forma alla sua visione: un’architettura che “scomparisse” nel paesaggio, invisibile dal mare e fluttuante tra le chiome degli alberi con la stessa leggerezza della Brake House di Ron Sang in Nuova Zelanda.
A questo input progettuale, lo studio ha risposto introducendo nel contesto tropicale la ruvida semplicità e la chiarezza compositiva delle beach houses di Ellwood (a partire dalla Hunt House a Malibu) e della Walker Guest House di Rudolph a Sanibel in Florida: il risultato è un intervento che da un lato instaura un rapporto biunivoco con il paesaggio senza rinunciare alla sua identità di opera artificiale e, dall’altro, abbatte la propria impronta ecologica pur garantendo un elevato comfort abitativo.

PAT. architetti associati con Ferdinando Fagnola, Falcon House, Manda Island, Kenya 2023. Foto Kelvin Muiruri Muriithi

L’opera consiste in tre padiglioni sopraelevati di circa tre metri dal suolo, sospesi su una struttura metallica puntiforme e raccordati da una passerella. I fabbricati completano la dotazione funzionale di una villa novecentesca, in stile swahili, che insiste sulla proprietà e che ospita gli ambienti comunitari. Ciascun volume ex novo, con affaccio a nord verso la spiaggia, ospita una camera da letto a cui corrisponde, sul retro, una torre con servizi e ripostigli, separata dal corpo principale e accessibile da un ponte.

Ogni scelta progettuale deriva dalle peculiarità del sito. La collocazione in quota degli edifici, è dettata dall’esigenza di captare più agevolmente i flussi di ventilazione contrastando il clima torrido, e di proteggersi dai serpenti. La struttura puntiforme in pilastri metallici a vista, inedita nella East Coast africana ma più economica e flessibile di una struttura lignea tradizionale, consente al complesso di snodarsi agevolmente tra acacie e baobab, aggirando o incorporando la vegetazione con una disinvoltura che ricorda la casa a Cap Ferret di Lacaton &Vassal.

PAT. architetti associati con Ferdinando Fagnola, Falcon House, Manda Island, Kenya 2023
PAT. architetti associati con Ferdinando Fagnola, Falcon House, Manda Island, Kenya 2023. Foto Filippo Romano

Lo studio degli affacci, degli orientamenti, dei flussi di ventilazione, sulla base dei precetti di progettazione bioclimatica acquisiti dai testi di Victor Olgyay, rende il complesso completamente autosufficiente in termini energetici e funzionali. La parete sud dei padiglioni è costituita da blocchi in calcestruzzo gettati in opera, leggermente sfalsati tra loro in modo da creare feritoie da cui filtra l’aria: la massa muraria, ombreggiata e ventilata, contribuisce a raffrescare il microclima delle camere da letto, le cui pareti est e ovest (maggiormente sottoposte all’irraggiamento in zona equatoriale), sono realizzate in doghe di legno orientabili manualmente per filtrare luce e aria.
L’elettricità, prodotta grazie a pannelli fotovoltaici, alimenta un sistema di desalinizzazione che rende potabile e disponibile per uso domestico l’acqua marina. Un apposito serbatoio in cui viene raccolta l’acqua piovana contribuisce al fabbisogno idrico.  

La stretta collaborazione con le maestranze locali e l’utilizzo di materiali reperibili in situ ha consentito di radicare profondamente l’opera nel contesto. Gli involucri dei fabbricati che ospitano i servizi, i piani di calpestio esterni e le terrazze sono rivestiti in legno di recupero proveniente dallo smantellamento di baracche nell’area, e di legno di eucalipto facilmente reperibile in loco; i pannelli orientabili delle facciate delle camere da letto sono in legno di iroko.
Sul solaio superiore in calcestruzzo, la copertura orizzontale ventilata è in lamiera di acciaio, materiale “basico” e tipicamente utilizzato in Africa per baracche, tettoie e capannoni, qui decontestualizzato e interpretato, secondo un approccio che ricorda le sperimentazioni di materiali poveri di Glenn Murcutt in Australia e di Albert Frey in California. Gli interni, con pavimenti in cemento in opera e arredi in muratura rifiniti nel tradizionale stucco liscio locale (niiru), sono caratterizzati da un’atmosfera intima e accogliente. 

PAT. architetti associati con Ferdinando Fagnola, Falcon House, Manda Island, Kenya 2023. Foto Filippo Romano

Il progetto interpreta in modo originale il tema complesso delle ville di prestigio in luoghi di villeggiatura, talvolta frutto di un’ansia di ostentazione che degenera in strutture energivore e lesive per il territorio, suggerendo al contrario la possibilità che il lusso sia, se non scomparire, quanto meno apparire (e impattare) il meno possibile.

Coordinamento del progetto:
Andrea Veglia
Gruppo di progetto:
Andrea Veglia, Ferdinando Fagnola, Benedetta Veglia, Jacopo Testa, Luca Rocca, Francesca Thiébat
Collaboratori:
Alice Ferro, Alberto Matta, Nicolò Radicioni, Aleksandra Cheremuchina
Consulenti:
Architect of record: George Otieno Adede/Otieno Adede Associates; strutture: Interphase Consultants; impianti: Studio Forte

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