Alla fine della seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti si risvegliano dall’incubo in un territorio fortunatamente non devastato, con rinnovate competenze tecnologiche in campo edilizio – prima sviluppate specificamente per l’industria bellica – e un insopprimibile desiderio di rifondare, attraverso gli strumenti dell’architettura e della pianificazione, visioni obsolete della cultura e della società.
Il Movimento Moderno, che già in Europa aveva mosso i primi passi sotto la guida di Le Corbusier, Gropius e Mies van der Rohe, in California si esprime con un linguaggio profondamente innovativo soprattutto in campo residenziale. Con il programma “Case Study Houses” voluto da John Entenza, direttore della rivista di Los Angeles Arts and Architecture, avviato nel 1945 e attivo fino al 1966, l’obiettivo era affidare a studi americani progetti di case-prototipo in grado di offrire una risposta nuova, efficace ed economicamente sostenibile al fabbisogno abitativo post-bellico, al netto di qualsiasi rigurgito formalista, retorico e magniloquente ereditato dal passato modus operandi.
L’abitare si spoglia così dei rigidi vincoli formali e strutturali pregressi, per favorire costruzioni dall’impianto semplice e funzionale, con strutture puntiformi e leggere a favore di una pianta libera e di una maggiore flessibilità degli ambienti, con geometrie pure caratterizzate da ampie vetrate, e all’insegna di un uso entusiastico della luce e del paesaggio come elementi essenziali della progettazione.
Figure del calibro di Richard Neutra, Charles e Ray Eames, Eero Saarinen, John Lautner, Raphael Soriano, Craig Elwood, Pierre Koenig, Robert Skinner, Albert Frey e tanti altri costellano il paesaggio urbano – soprattutto di Los Angeles – di opere iconiche che, al di là delle differenze espressive, veicolano lo stesso identico messaggio: un sentimento di ottimismo e la voglia travolgente di un futuro migliore, all’insegna del “sogno americano”.