Il termine “kitsch” deriva dal tedesco “scarto” (o, secondo altre interpretazioni, dall’inglese sketch, schizzo). Questo termine si usava nel 19° secolo per definire l’opera d’arte commercializzata, la cui accessibilità ne inficiava l’unicità. In quanto fenomeno di massa, il kitsch ha il merito di aver concesso al popolo un mezzo per riappropriarsi dell’arte, però falsificandola.
Di questa “ambigua condizione del gusto” ha parlato diffusamente il critico Gillo Dorfles, che nel 1968 pubblicò il celebre volume Il Kitsch. Antologia del cattivo gusto.
“L’industrializzazione culturale – afferma Dorfles – estesa al mondo delle immagini artistiche ha condotto con sé un'esasperazione delle tradizionali distinzioni tra i diversi strati socio-culturali. La cultura di massa è venuta ad acquistare dei caratteri assai diversi (almeno apparentemente) dalla cultura d’élite, e ha reso assai più ubiquitario e trionfante il kitsch dell’arte stessa.”
Ma può esiste l’architettura contemporanea kitsch? Questo è il quesito che il fotografo francese Loïc Vendrame si pone con un indagine visuale compiuta in Turchia e negli Emirati Arabi Uniti.
La sua serie fotografica The Age of Kitsch raccoglie spazi urbani contemporanei in cui sono presenti elementi (o interi complessi di edifici) che falsificano la storia, mischiando liberamente stili e storie differenti: dall’Egitto dei Faraoni all’Antica Grecia, dal Barocco all’Orientalismo.
“Il kitsch è usato per creare mondi immaginari, invitando a un viaggio dentro il viaggio. L'architettura è messa in scena come un 'museo vivente', producendo un'attrazione esotica dove (principalmente) i turisti possono fuggire dalla realtà quotidiana offrendo una nuova esperienza del passato,” spiega Loïc Vendrame.
Nato nel 1989, geografo e fotografo autodidatta, Loïc Vendrame è appassionato, in primis, di architettura contemporanea. Dal 2016 il suo lavoro fotografico si è spostato verso lo studio delle dinamiche e dei cambiamenti dei paesaggi urbani e periurbani, soprattutto attraverso uno studio fotografico monografico che documenta spazi moderni abbandonati, fermi o sottoutilizzati in tutto il mondo. Scatta con una Fujifilm XT-2 e una Fuji XF 14mm F/2.8.