La città di Arles, nel sud della Francia, è conosciuta dalla comunità artistica soprattutto per due motivi: è il luogo dove Vincent van Gogh visse per oltre due anni, e in cui dipinse alcune delle sue opere più conosciute; e ospita ogni anno il festival Rencontres d’Arles, la manifestazione legata alla fotografia più importante in Europa.
Per consolidare la posizione di Arles come hub culturale, la collezionista Maja Hoffman ha fondato la Fondazione Luma e aperto nel 2013 il centro per le arti contemporanee Luma Arles, trasformando uno scalo ferroviario abbandonato in un complesso con spazi espositivi, residenze d’artista, laboratori e altri servizi legati alla produzione culturale.
Luma Arles “si concentra sulle relazioni dirette tra arte, cultura, questioni ambientali, diritti umani, educazione e ricerca”, e in questi ultimi anni si è dimostrato essere un polo di rilevanza continentale. Per quanto riguarda il design, ad esempio, il curatore Jan Boelen dirige la sezione “Atelier Luma”, portando avanti un’interessante ricerca sulle alghe come materiale di progetto.
Viste le ambizioni dell’istituzione, possiamo definire per lo meno controversa la nuova architettura che svetta tra i padiglioni rigenerati: una torre, che sarà inaugurata il prossimo 26 giugno, progettata dall’archistar nordamericano Frank Gehry.
Quando si parla di Gehry il dibattito verte sempre sulle sue scelte formali: in questo caso c’è chi ha parlato di cannuccia stropicciata, chi della casa della famiglia Addams. La torre alta oltre 56 metri ha infatti una “classica” (per Gehry) geometria tortile e irregolare, ed è rivestita da 11.000 placche di metallo, tutte rigorosamente diverse tra loro.
In questa sede ci interessa capire quanto sia contemporaneo, per un’istituzione artistica, farsi rappresentare da un archistar come Gehry, soprattutto quando ci si occupa delle “relazioni dirette tra arte, cultura, questioni ambientali”. Il Guggenheim di Bilbao – unanimemente considerato un edificio di grande successo – è datato 1997. Dopo quasi 25 anni vale la pena replicare la stessa strategia spaziale e urbana?
Sulla rivista d’arte Frieze, il critico e curatore Max Andrews definisce la torre scintillante come “una forma importuna di trofeo”: un oggetto scultoreo che serve più alla auto-celebrazione di chi la costruisce (o la promuove) che come reale piattaforma per la produzione ed esposizione della cultura. Ok, la città di Arles ha un nuovo landmark. Ma serviva questo a metterla nella mappa delle grandi città d’arte?
Il quesito ha ancor più valore in Francia, dove lavora lo studio che quest’anno ha ricevuto il prestigioso Prizker Prize, dimostrando la popolarità dei nuovi approcci alla progettazione, che possono e devono essere sensibili e integrati all’ecologie di un territorio. Di queste, Gehry sembra non essersi completamente occupato.
Lasciamo quindi stare l'architetto nordamericano, da cui a 92 anni non possiamo pretendere troppo. Pensiamo invece a cosa possiamo chiedere alle istituzioni culturali e a come trasformarle, nella materia e nel contenuto.