Fondata nel 1953, Chandigarh funge da capitale per due stati dell’India: il Punjab e l’Haryana. Furono inizialmente chiamati per la sua realizzazione l’urbanista americano Albert Mayer e l’architetto polacco Maciej Nowicki, ma il masterplan originale è stato poi ripreso e rimaneggiato da Le Corbusier e da suo cugino Pierre Jeanneret, infatti ora Chandigarh è conosciuta da tutti come la città modernista sognata dai due architetti svizzeri.
Pierre Jeanneret, in particolare, si lasciò coinvolgere dall’incarico al punto da dedicarci il resto della sua vita, tanto da chiedere di disperdere le sue ceneri nel lago Sukhna, lo specchio d’acqua in città.
Un fatto importante e non sempre ricordato è che al gruppo di architetti occidentali si affiancarono molti colleghi indiani. Il trasferimento degli europei nella località in cui sarebbe sorta Chandigarh durante il periodo di lavoro (da cui fu esentato il solo Le Corbusier) fu infatti una precisa richiesta contrattuale delle autorità indiane, che consideravano correttamente la genesi della città come una straordinaria occasione formativa per una nuova generazione di architetti locali che avrebbero potuto continuare il lavoro in autonomia.
Chandigarh si presenta con una suddivisione gerarchica delle funzioni urbanistiche, stabilita su una griglia composta da strade a rapido scorrimento che separano, in modo molto netto, quartieri di dimensioni omogenee. All’interno di questi, le singole architetture presentano ancora oggi dei caratteri distintivi per singole zone (siano esse residenziali, ludiche, commerciali, istituzionali o accademiche). Accanto al Capitol Complex di Le Corbusier, l’esplorazione di Chandigarh rivela quindi un numero elevatissimo di strutture moderniste uniche tra cui la torre del Centro Studentesco dell’Università del Panjab, la rampa di uno stadio di periferia o il Gandhi Bhawan di Pierre Jeanneret, tra gli altri.
A distanza di decenni, il dibattito sugli effetti del modello urbanistico adottato a Chandigarh è ancora aperto, ma i tanti progetti realizzati sono tuttora in grado di stimolare un grande interesse, architettonico e visivo, e fanno percepire ancora il fascino peculiare che questo luogo esercitò sullo stesso Pierre Jeanneret.
Roberto Conte (1980), ha iniziato a fotografare nel 2006, esplorando inizialmente le rovine industriali nel milanese per poi espandere gradualmente il suo raggio di attività a diversi tipi di luoghi e architetture abbandonate in tutta Europa e oltre. Ha sviluppato un interesse particolare per l’architettura del ventesimo secolo: dal razionalismo all’avanguardia costruttivista fino al brutalismo e al modernismo sovietico. Le sue foto sono state pubblicate su numerose riviste e libri. Nel 2019, insieme a Stefano Perego, ha pubblicato il libro “Soviet Asia” (FUEL).