Incontriamo l’architetta Dorte Mandrup in occasione del primo appuntamento 2020 di “Thinking Varese-Testimonianze di architettura”, ciclo di conferenze a cura degli architetti della Provincia. Ecco che cosa ci ha raccontato in esclusiva per domusweb.
Dorte Mandrup, lei ha un’esperienza professionale più che ventennale: come è cambiato il suo lavoro in questi anni?
Oggi il mondo dell’architettura è sicuramente più competitivo e richiede un alto grado di professionalità e livello di conoscenza. Ma sono state soprattutto le problematiche ambientali a modificare il modo di progettare: pensi che vent’anni fa non esisteva neanche la parola “sostenibilità”... Un tempo il modo di “fare architettura” era sì legato all’ambiente, ma a un scala locale, più elementare; oggi, invece, citroviamo ad agire in uno scenario complesso e globalizzato, che influisce sul progetto finale.
Certo, l’impegno a progettare in modo responsabile c'è sempre stato da parte del mio team, ma oggi siamo di fronte a un’emergenza ecologica drammatica.
E lei pensa che gli architetti possano svolgere un ruolo importante? Certamente. Non possono cambiare il mondo ma in questo momento possono fare molto. Consideri che il 40% dell’impatto ambientale è causato dall’attività edilizia e quindi dalle case che abitiamo.
Occorre creare questa consapevolezza, in particolare nella committenza, sia pubblica che privata, perchè finalmente si capisca che costruire in modo sostenibile è un obiettivo prioritario. Per esempio, rigenerando edifici obsoleti, anziché demolirli: aggiungere nuove costruzioni, infatti, significa inevitabilmente causare un ulteriore degrado del territorio.
Lei pensa che la sostenibilità sia legata solo a soluzioni tecnologicamente performanti?
Certamente no. Bisogna optare per scelte oculate anche per quanto riguarda l’uso deimateriali, che devono avere un basso impatto ambientale non solo a breve termine, e cioè nel momento in cui si sta costruendo, ma anche dopo, nel corso della vita dell’edifico.
Vede, la sostenibilità non riguarda solo il consumo/risparmio energetico ma coinvolge ogni azione e scelta progettuale. E poi, non dimentichiamo che c’è la sostenibilità sociale e anche qui, penso che gli architetti possano fare qualcosa di buono: abbiamo, infatti, la chance di “plasmare” i luoghi dove vivono le persone. “La buona architettura” può davvero fare la differenza. In meglio e per tutti. Questo è il messaggio che bisogna promuovere e far capire
Progetta edifici che hanno una forte relazione con il paesaggio: penso all’Icefjord Center in Groelandia, o a uno dei suoi ultimi lavori, The Whale, dedicato allo studio delle balene nel Nord della Norvegia. Che cosa la spinge a lavorare a quelle latitudini?
Be', prima di tutto siamo stati fortunati ad essere stati invitati a partecipare a questi concorsi e a vincerli! Sicuramente si tratta di lavorare in luoghi non comuni, che costringono a confrontarti con una natura estrema, a volte dura. Ma è stimolante. E, poi, ti obbliga a un impegno ambientale profondo: proprio lì, infatti, i cambiamenti climatici sono quanto mai tangibili. Sei in prima linea, insomma...
Qual è il messaggio che vorrebbe dare ai suoi colleghi-architetti, a partire proprio da questa platea?
Dedicare tempo, cura e attenzione alla comprensione del luogo. Per trovare il suo potenziale, farlo proprio e, soprattutto, mostrarlo. Con coraggio ma senza mai dimenticare di sognare anche un po’.