La mia guida per il parco del boulevard dei Fiori Bianchi di Kazan, capitale del Tatarstan, è Natalya Tarsukova, una giovane architetta con una felpa blu elettrica oversize addosso, nessuna parola in inglese, solo russo o tataro come quasi tutti qui, spiccata propensione per l'attorialità e una sportina di tela al gomito. Dentro, una collezione di foto formato A4. Raccontano la storia di questo posto, da quando era una striscia di fango e cemento al suo presente di alberi e panchine e giochi per bambini al futuro, con i rendering di quello che qui ancora non è successo, ma succederà.
L’ascesa di Kazan, capitale del Tatarstan e del progetto partecipativo
La seconda Biennale dedicata ai giovani architetti russi è l’occasione per conoscere la nazione diventata un prototipo per l’intera Federazione, e un approccio agli spazi pubblici dai cui tutte le città dovrebbero prendere ispirazione.
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- Alessandro Scarano
- 07 novembre 2019
Tra le foto che la ragazza mostra guidandomi in questo parco urbano lungo e stretto ricavato da uno stradone, ce n'è una non ritrae direttamente il luogo, ma un momento essenziale perché diventasse un posto migliore: è una assemblea tra abitanti del quartiere. Per mesi hanno discusso con Group 28, il team di Natalya, le proposte di rinnovamento, modificandole, votandole, partecipando attivamente al rinnovamento di quel largo passaggio all'ombra dei palazzoni in cui vivono loro, i loro figli, e forse vivranno i figli dei loro figli, perché le case sono quasi tutte di proprietà. È quel participatory design, la progettazione partecipativa, che rappresenta uno strumento fondamentale per i tanti progetti che stanno cambiando il volto della città.
“È l’approccio che usiamo in tutto il nostro lavoro, quotidianamente”, spiega Natalia Fishman-Bekmambetova, un curriculum impressionante per i suoi 29 anni; oggi è assistente del presidente del Tatarstan. L'approccio partecipativo è cominciato con un errore che si è trasformato in un trionfo, come si potrebbe immaginare che succeda solo nelle migliori sceneggiature. Nel marzo del 2015, Fishman-Bekmambetova viene chiamata in Tatarstan a curare un ambizioso progetto di sviluppo degli spazi pubblici; tra i primi interventi, quello dell’Uritsky Park, un parco periferico dove un importante centro civico ha preso il posto di una fabbrica di aerei. Qui comincia tutto male: per errore, vengono abbattuti alberi antichissimi. “È stata la prima cosa che mi sia successa qui”, ricorda Natalia: gli abitanti della zona protestano, lei li ascolta e sceglie di coinvolgerli nel processo di riqualificazione: è la nascita dell’approccio partecipativo. Oggi quella di Uritsky è una zona verde dove trovano spazio un piccolo, bellissimo lago, campi sportivi, panchine coperte e tanti spazi dove incontrarsi. Tutto l'arredo è curato, essenziale, utile, accordato alle esigenze di chi frequenta il parco. Tramite i social, si organizzano lezioni di yoga e altro. “I peggiori architetti con cui io abbia lavorato sono quelli convinti di essere degli artisti”, spiega Fishman-Bekmambetova. “L’architettura non è come dipingere: devi pensare alle persone per cui stai progettando”. Oggi il programma di sviluppo degli spazi pubblici è esteso a tutta la Federazione russa. E la progettazione partecipata è diventata la conditio sine qua non per le città che vogliono aderire.
Nel futuro sceglieremo posti perché ci si vive bene e smetteremo di essere presenti nelle grandi città.
Il Tatarstan è una repubblica che i suoi abitanti descrivono come la Svizzera della Federazione russa: multietnica, multiculturale, cattolici, ortodossi e musulmani che convivono in pace, un'economia solidissima e notevoli margini di autonomia da Mosca. Più di 350 sono gli spazi pubblici sviluppati in questi 4 anni. Come il recupero del lungolago Kaban, uno dei luoghi più antichi della capitale, un camminamento ecologico che fa da ideale ponte tra l’acqua e spazi verdi, ideato dal consorzio sino-russo Turenscape+MAP, completato da una serie di panchine rosse fabbricate in loco, “perché quelle originali cinesi del progetto costavano troppo” raccontano le guide, o la foresta Gornisko-Ometevsky, dove si scia e la musica viene diffusa da altoparlanti sospesi. E il boulevard dei Fiori Bianchi, il cui nome riprende la più celebre opera di Abdulrahman Absalyamov, uno dei più grandi scrittori tatari. Sono i tatari quel popolo che più comunemente nel nostro lato del mondo abbiamo chiamato Tartari, per assonanza con il girone dell’inferno, o con la parola “barbari”; quelli del deserto di Buzzati e che racconta Marco Polo. Oggi il Tatarstan è l’unico Paese al mondo dove il tataro sia lingua ufficiale: raccoglie l’eredità della Grande Bulgaria e dell’Orda d’Oro, nel suo Dna collettivo le conquiste di territori sterminati in sella al cavallo - un tempo compagno nella guerra, oggi simbolo onnipresente e ingrediente fondamentale per molti piatti tipici.
Nel 2016 Innopolis era la più piccola città russa, con soli 96 abitanti. Satellite di Kazan, da cui è separata da una manciata di chilometri di foresta e dal Volga, che qui si allarga fino a raggiungere una distanza di 16 chilometri da una riva all’altra, Innopolis è un luogo chiave nel futuro del Tatarstan, un tech park universitario che aspira a essere il principale incubatore della Federazione per l’innovazione tecnologica. L’auditorium circolare, uno dei simboli di questa microcittà, ha ospitato questo ottobre la seconda Biennale russa dedicata ai giovani architetti. Per raccontare l’importanza di una manifestazione del genere l’urbanista e sociologo Petr Kudryavtsev del bureau di ricerca urbanistica Citymakers, il quale ha avuto un ruolo operativo e di supporto alla giuria internazionale presieduta come nella prima edizione dall’architetto Sergei Tchoban, cita a paragone il tennista Daniil Medvedev. Il giovane talento russo si è trovato a competere in uno sport attualmente dominato da tre dei suoi più grandi interpreti di sempre, Nadal, Federer e Djokovic, arzilli ultratrentenni che continuano a vincere oggi come dieci anni fa. È l’incubo di ogni giovane talento che diventa realtà, quello di trovare davanti a sé una generazione che non gli lascia spazio. Medvedev è ricorso al supporto degli psicologi per affrontare il triumvirato della racchetta ad armi pari. Una Biennale come questa è l’occasione di mostrare quanto valgono per gli architetti russi sotto i 35 anni e vedere i loro progetti realizzati.
“Siamo felici di essere di nuovo qui”, ha detto Tchoban all’apertura della fase finale della manifestazione, 3 giorni di presentazioni, lecture e discussioni. Protagonista è la rigenerazione degli spazi industriali, una questione aperta in tantissime città, non solo quelle ex sovietiche, in bilico tra necessità del nuovo e preservazione dell’identità. “Europa e Russia hanno problemi similari, legati a quello che i costruttori hanno fatto tra gli anni Quaranta e i Sessanta del secolo scorso”, ha aggiunto l'architetto russo-tedesco, per due volte curatore del padiglione della Russia alla Biennale di Venezia. Nel bando della Biennale è stato chiesto di progettare la riqualificazione di due differenti siti: la fabbrica dismessa di Santekhribor, un complesso abbandonato oramai da anni, e un silos destinato allo stoccaggio del grano situato nei pressi del porto di Kazan, ancora oggi parzialmente in funzione, che si affaccia su una sponda del Volga che qui si fa così imponente da trasfigurare nelle proporzioni di un lago. Di 739 progetti ricevuti, ne sono stati selezionati i 30. I finalisti sono stati scelti perché in grado di immaginare una nuova vita per Santekhribor, che si integrasse nel quartiere in cui l’ex complesso industriale è collocato, con il primo premio assegnato ad Alexander Alyayev, e per la capacità di confrontarsi con l’iconica struttura del silos, un sfida probabilmente più difficile da risolvere in maniera convincente, per cui è stato premiato il team moscovita Leto.
Tendenza comune a tutti i progetti finalisti è la scarsa densità: i giovani architetti russi hanno preferito costruzioni basse per ospitare abitazioni e attività commerciali. Niente torri e molto ottimismo, come conferma a premiazione avvenuta Natalia Fishman-Bekmambetova, visibilmente stanca ma felice, total look Christian Dior. “Nel futuro mi aspetto meno densità. Luoghi come Kazan, città di taglia media, diventeranno sempre più importanti, perché sarà sempre meno essenziale per le persone l’interazione fisica”, dice lei: “sceglieremo posti perché ci si vive bene e smetteremo di essere presenti nelle grandi città”. E mostra il telefono, dicendo che la sua vita è tutta lì, e per le nuove generazioni, “che nascono con questi oggetti già in mano”, lo sarà sempre di più. Nel suo ottimo inglese ricorda che alla fine della prima Biennale non era contenta, perché non sapeva che ci sarebbe stata un’altra edizione e se i vincitori avrebbero avuto un contratto. In due anni però sono cambiate tante cose e si parla già di una terza manifestazione. Intanto, la rete di giovani architetti legata a Kazan si fa sempre più larga. E la città cresce: non in altezza, ma in importanza. Natalia ha le idee chiare: vuole che sia una capitale mondiale della creatività e dell'innovazione.
Resta però un dubbio sull'impianto della Biennale, dove il grande assente è proprio l’approccio partecipativo, così importante nella rigenerazione degli spazi pubblici di Kazan. Per Fishman-Bekmambetova sarebbe semplicemente impossibile introdurlo, per una questione di correttezza: “quanto parli con le persone, ti prendi una responsabilità”. Al tempo stesso, non considera il participatory design come qualcosa di speciale, o qualcosa che andrebbe insegnato nelle scuole. Mi guarda vagamente stranita, quando avanzo il dubbio: “penso che sia una qualità umana”, ribatte. “Per me è una cosa ovvia”. E quando le chiedo se considera Kazan come il prototipo di città per il futuro, si lascia sfuggire un sorriso: “è quello su cui stiamo investendo”.
Vincitori della seconda Biennale dei giovani architetti russi. Santekhpribor: Aleksandr Alyaev, Mosca, primo premio; KB 11, Ufa, secondo premio. Silos granario: Leto, Mosca, primo premio; Megabudka, Mosca, secondo premio. Boulevard dei Fiori Bianchi, in costruzione dal 2018, progetto: Group 28, area 1,7 ettari. Parco Uritsky, costruzione 2015-2017, area: 15 ettari di cui 1,39 di verde. Foresta Gorninsko-Ometevsky, costruzione 2016-2018, area: 87,4 ettari. Banchina sul lago Kaban, in costruzione dal 2017, area: 8,7 ettari.