“Il Piano ibrida ecologia, tecnologia e ambiente antropico, sostituendo le logiche ecologiche a quelle urbane. Si valorizzano le superfici orizzontali e performative rispetto ai volumi dell’architettura intesa in senso tradizionale.” Racconta Elisa Cristiana Cattaneo
Contaminare discipline diverse è non è solo l’approccio del Piano Operativo di Prato, attuato nel settembre del 2018, ma anche il metodo che l’urbanista e la storica dell’arte Emilia Giorgi hanno scelto per curare la mostra “Verde Prato. Sperimentazioni urbane tra ecologia e riuso” al Centro per l'Arte Contemporanea Luigi Pecci.
“L’idea è quella di raccontare il Piano Operativo in uno spazio solitamente dedicato alle arti contemporanee, non con un linguaggio tecnico ma cercando di costruire una narrazione ibrida, mettendo in connessione i diversi aspetti che riguardano quella che sarà l'idea della città di Prato,” dice Emilia Giorgi.
Divisi in tre sezioni – Ecology, Re-Use e Going Public – gli elaborati progettuali sono combinati con installazioni, indagini fotografiche e video, tenuti insieme dalla ‘macchina espositiva’ concepita dallo studio Fosbury Architecure, che richiama quelle sceniche del teatro.
L’idea è quella di raccontare il Piano Operativo in uno spazio solitamente dedicato alle arti contemporanee, non con un linguaggio tecnico ma cercando di costruire una narrazione ibrida
Il progetto presentato recentemente dall’Ufficio di Piano della cittadina toscana è figlio, concettuale e metodologico, del Piano Strutturale redatto tra il 1993 e il 1996 dal maestro Bernardo Secchi, che con il suo lavoro ha contribuito all’origine del Landscape Urbanism, una teoria secondo cui il modo migliore per organizzare le città è attraverso la progettazione del paesaggio, piuttosto che il disegno dei suoi edifici.
L’integrazione tra pianificazione urbana ed ecologia è sicuramente uno degli aspetti più innovativi del Piano. Si propone una Tecnonatura, “ovvero la natura intesa come dispositivo tecnologico, per sperimentarne le potenzialità teorico-metodologiche, operative e linguistiche,” ci racconta Elisa Cattaneo.
“La Natura è considerata nel Piano Operativo principalmente secondo tre categorie: come performatività, intesa come tecnologia e produttività (si orientano in questo senso gli studi e l’istallazione Urban Jungle di Stefano Mancuso); come simbiosi, intesa come reciproca modificazione con la cultura (come espresso nel progetto di Forestazione urbana di Stefano Boeri); come resilienza, ossia come luoghi della potenzialità trasformativa (per esempio, nella formulazione di standard come aree di trasformazione processuale)”.
Al mondo vegetale è rivolta l’attenzione del fotografo Maurizio Montagna, che con il suo progetto Paregon, realizzato appositamente per la mostra al Centro Pecci, “intercetta il modo in cui il verde si riappropria della città costruita, suggerendo la strada per un nuovo agire collettivo e mutando dopo secoli di visione antropocentrica le nostre coordinate prospettiche,” ci spiega Emilia Giorgi.
La natura è intesa come dispositivo tecnologico, per sperimentarne le potenzialità teorico-metodologiche, operative e linguistiche
Per rappresentare la complessità della città concepita come un organismo vivente e mutevole è stata inoltre progettata la macchina robotica EP1 – Braided Landscape. Questa installazione interattiva interpreta un “paesaggio trasformabile sopra il quale una serie di elementi mobili assumono infinite configurazioni spazio-temporali, in funzione di un sistema di forze invisibili sottostanti,” dice Cattaneo.
Seguendo i principi del filosofo Murray Bookchin che legava le questioni ecologiche a quelle sociali, il Piano deriva da un lungo e attento processo di partecipazione cittadina, che è servito da base per la sua redazione. Questo aspetto è stato reso all’interno della mostra con l’integrazione di un teatro che durante i giorni di apertura ospiterà discussioni e laboratori.