C’è un concetto chiave in Challengers, l’ultimo film di Luca Guadagnino, che viene reiterato più volte, anche in modo non esplicito, nel corso della pellicola: è possibile entrare in uno stato di comunione profonda con qualcuno solo per uno lasso di tempo estremamente ristretto, quindici secondi in cui si comunica e ci si conosce realmente, condividendo qualcosa di importante con chi si ha davanti, si tratti di un avversario, di un partner o… di uno spettatore.
Per trasmettere questo concetto, Guadagnino suddivide il film in brevi sequenze sincopate, con repentini cambi di inquadratura o di scena, focalizzando l’attenzione sui tre protagonisti e le singole verità che ognuno pensa di conoscere riguardo la propria storia. Il tema ricorrente del triangolo (amoroso dei protagonisti, temporale in termini di flashback e riguardo la conoscenza degli eventi - soggettiva, per ognuno dei personaggi principali) viene riproposto in ogni singola scena, dividendo idealmente lo schermo in tre aree: il campo di un giocatore, la rete, il campo dell’avversario, sovrapponibili alla maggior parte delle interazioni proposte.
Tutte le volte in cui i personaggi sono - almeno in apparenza - in conflitto tra loro, faticando a trovare un punto di contatto, comunicano mentre c’è qualcosa che li divide: la soglia tra due stanze, un tavolino, un letto, una persona o addirittura dei meriti sportivi. In contrapposizione alla maggioranza delle sequenze appena citate, ci sono alcuni, fulgidi esempi di quei “quindici secondi” citati inizialmente. Si tratta di brevi scambi sottorete (in senso figurato e non) in cui i protagonisti riescono a incontrarsi. Tra loro non c’è nulla a frapporsi, e il terreno di gioco diventa campo comune. In queste scene, il ritmo si alza, il film decolla, e per lo spettatore diventa impossibile staccare gli occhi dallo schermo. Gli spazi si restringono e le inquadrature si soffermano su volti e dettagli. I visi si toccano, le mani si stringono e i tagli si susseguono con la velocità di una pallina gialla sul campo verde.
Stiamo ancora parlando di Tennis?
A sottolineare questa suddivisione visiva molto netta, c’è una color correction che va a enfatizzare la matericità dei corpi e degli ambienti, con toni molto intensi e inganni sensoriali che fanno quasi percepire l’odore acre dei corpi sudati. Inoltre, a rafforzare il tutto, c’è un montaggio sonoro sempre preciso, azzeccato e mai fuori contesto. Dalle canzoni che restituiscono immagini chiare dei periodi storici visti nei flashback, ai rumori di scena, passando per la colonna sonora firmata Trent Reznor e Atticus Ross, che cuciono dei brani intensi addosso ai momenti di “svelamento” della storia, come se attori, spettatori e regista fossero tutti a un rave. Parliamo di musica elettronica figlia degli anni Ottanta, martellante, ripetitiva, ipnotica, che lascia parlare i corpi e non le voci. I passi, la racchetta schiantata per terra ripetutamente, la pallina che rimbalza, le grida e i gemiti: tutto diventa ritmo, crea tensione e aspettativa, aumentando la profondità di quanto visto sullo schermo.
Quando, invece, sono i dialoghi a far da padroni, i personaggi si avvicinano e si scontrano con parole taglienti, scambi sempre brillanti e credibili, spesso immersi nel silenzio. Le battute riassumono pensieri stratificati, spediti a centinaia di chilometri all’ora da un protagonista all’altro, rompendo costantemente degli equilibri già tesi come dei piatti corde. Il tennis è sempre il centro di tutto, grande metafora dell’ambizione e della sete di rivalsa, tanto nella vita personale, quanto nei confronti del proprio avversario. I personaggi entrano ed escono dai campi, dalle vicendevoli vite, dalle abitazioni e dalle inquadrature, credendo di essere non visti. La storia avanza grazie a discorsi che presentano almeno tre strati di lettura: lo sport, le aspettative personali e il corteggiamento, dove ognuno è convinto di sapere perfettamente quel che sta accadendo. Non si smette mai di parlare di tennis, eppure, allo stesso tempo, non si parla mai di tennis.
Dove dormirai stanotte?
Ogni incontro tra Tashi Duncan, Patrick Zweig e Art Donaldson è una sorta di sliding doors. Ogni volta in cui la relazione tra loro cambia, muta il divario sociale e l’approccio alla vita. Quella che inizialmente sembrava essere una base di partenza comune per tutti, una festa per diversi astri nascenti del Tennis, diventa subito un trampolino di lancio (per alcuni) e una fossa (per altri). Da quel momento in poi, i tre non saranno mai più sullo stesso piano, pur condividendo porzioni di vita insieme.
Il tema ricorrente del triangolo viene riproposto in ogni singola scena, dividendo idealmente lo schermo in tre aree: il campo di un giocatore, la rete, il campo dell’avversario, sovrapponibili alla maggior parte delle interazioni proposte.
Nello spazio di tredici anni, costellati da infortuni e infatuazioni amorose più o meno durature, più si progredisce nel tempo, meno i tre sembreranno avvicinarsi, almeno in apparenza, svelando la propria indole. Mutano le condizioni economiche, come gli spazi degli incontri (o scontri). Guadagnino tiene saldamente il timone, trasforma tali ambienti ini posti più archetipici per evocare sensazioni forti nello spettatore: una camera d’hotel, in apparenza perfetta e da “realizzati” per la coppia in crisi, il sedile posteriore di un’automobile, per l’errore, il clandestino, ciò che non dovrebbe accadere. Tutto diventa racconto.
La notte e il vento scuotono gli animi e le convinzioni dei singoli. Il giorno e la calma cercano di mantenere lo status quo come tale. I tre riescono a parlare solo quando non sono in pubblico (in una sauna, in una camera da letto, in un’automobile), e il sesso diventa prevaricante e rivendicativo, i pasti insieme diventano sfida e tranello allo stesso tempo. Dunque, cosa resta nell’immenso rumore che porta incomprensione? Proprio quei quindici secondi di idillio, in cui ci si riesce a capire solo quando si ha una racchetta tra le mani nell’unico campo neutro visibile dall’inizio alla fine del film, quello da tennis.
Immagine di apertura: Luca Guadagnino, Challengers, 2024