Come lo squat più famoso d’Europa si è trasformato in un museo ultra chic

Ripercorriamo la storia di Tacheles, che dopo un decennio ha riaperto i battenti su progetto di Herzog & De Meuron: è il simbolo di una Berlino sempre più “normale”. Un ritorno che non convince tutti.

Ci sono luoghi che, meglio di altri, incarnano lo spirito di un’epoca, trasformandosi in simboli che resistono alla prova del tempo. Per la Berlino dei primi anni novanta, questo luogo è stato sicuramente il Tacheles: una grande galleria commerciale di inizio secolo – o meglio, ciò che ne rimaneva dopo che le autorità della Germania Est ne avevano iniziato la demolizione – occupata nel 1990 da un colorito manipolo di attivisti e artisti, e divenuta in seguito icona alternativa della capitale. Una storia finita ingloriosamente nel 2012, con uno sgombero in sordina e una resistenza sorprendemente flebile. 

Infine, la rinascita: nell’autunno del 2023, quello che un tempo era il Tacheles è stato presentato al pubblico nella sua nuova veste. Non più squat di artisti, ma museo fotografico privato, dependance del famoso brand scandinavo Fotografiska, con tanto di bookstore, bar, café e ristorante. Un passaggio fortemente simbolico, anche e specialmente in una città come Berlino, caratterizzata da un susseguirsi incessante di metamorfosi urbane. 

Foto courtesy AM Tacheles

Nascita di un'icona

Per capire il perchè di tante discussioni e controversie attorno ad un edificio tutto sommato già vuoto da oltre un decennio, occorre tornare alle origini del Tacheles, a partire dall’ormai storica occupazione nel 1990. 

È passato meno di un anno dalla caduta del muro, le due Germanie non sono ancora riunificate. Mentre la Repubblica Democratica Tedesca implode sotto al peso delle proprie contraddizioni e della sua debolezza economica, a Berlino Est si crea un vuoto di potere. È la breve “estate dell’anarchia”, durante la quale in Mainzer Straße, a Friedrichshain, vengono occupati 12 palazzi in un colpo solo, e il quartiere attorno a Oranienburger Tor si riempie di bar e locali improvvisati. La città pare in preda a un’euforia collettiva, in cui tutto sembra possibile. 

È in questo momento, unico e irripetibile, che nasce il Tacheles: poco più di un rudere, occupato da un gruppo di artisti con lo scopo di salvarlo dalla demolizione.
Foto di Songkran da Flickr

È in questo momento, unico e irripetibile, che nasce il Tacheles: poco più di un rudere, occupato da un gruppo di artisti con lo scopo di salvarlo dalla demolizione finale da parte delle autorità della Ddr. Uno dei protagonisti di questa fase è Jochen Sandig. Come molti suoi coetanei, Sandig, originario del ricco e conservatore Baden-Württemberg, viene riscucchiato dal vortice berlinese e da studente si ritrova portavoce del Tacheles. A lui si deve il nome dell’iniziativa. La parola Tacheles è Yiddish, un omaggio degli squatter alla lunga storia ebraica del quartiere circostante (la storica sinagoga con la sua cupola dorata dista poche centinaia di metri). “Parlare Tacheles” significa “parlare con franchezza”, dirsi le cose in modo chiaro. Rappresenta quindi anche un’intenzione programmatica dei suoi promotori: qui si vuole fare arte dal basso, senza burocrazia, tabù o cornici accademiche. . 

Per alcuni anni, Sandig e compagni riescono a tenere fede a questa promessa. Mentre l’interno dell’edifico viene lentamente reso agibile, accogliendo bar, club, sale concerto, un cinema e oltre 30 atelier, il vasto spazio vuoto dietro all’edificio si trasforma in giardino di sculture e playground per performance. Entro pochi mesi, anche la politica ufficiale e i media mainstream iniziano a mostrarsi affascinati da questo bizzarro esperimento artistico, ospitato da quello che alcuni già chiamano “il più grande squat d’Europa”. Nasce il mito del Tacheles. 

Foto di Nils Schirmer da Unsplash

Il lento declino

Come spesso succede, il successo è accompagnato da nuove difficoltà e contraddizioni. Da porto sicuro della controcultura, il Tacheles si trasforma in meta turistica. Si delinea una contrapposizione sempre più forte fra la cosiddetta Gastrofraktion, ossia la “fazione gastronomica” dei bar e dei locali ospitati dentro al Tacheles, e gli artisti stessi, che accusano i primi di promuovere la commercializzazione dell’iniziativa. 

Intanto, i quartieri circostanti si trasformano a ritmi velocissimi. I club e le gallerie improvvisate, arredate con mobili di fortuna e sculture di rottami, cedono il passo a catene di ostelli e caffetterie anonime. La “scena” sembra preferire ormai altri quartieri, come la multiculturale Neukölln. Infine, nel 2012, lo sgombero. 

Foto di lotharnahler da Adobe Stock

Morte e reincarnazione

Il Tacheles è ufficialmente finito. Non però il suo marchio, che dalle profondità dell’underground  ascende all’Olimpo della finanza globale. I nuovi proprietari dell’area, afferenti al fondo di investimento newyorchese Perella Wineberg Partners, riconoscono infatti il valore storico del brand e decidono di usare il nome “Tacheles” per i propri scopi di marketing. A ripensare l’area vengono chiamati gli starchitects svizzeri Jacques Herzog e Pierre de Meuron, che disegnano un piano regolatore che sulla carta si presenta intelligente e rispettoso, ma a uno sguardo più attento si rivela scaltro e non privo di cinismo. Le planimetrie proposte rievocano la vecchia galleria commerciale, le cosiddette Friedrichstadtpassagen, e disegnano una piazzetta ottagonale nel punto in cui un tempo sorgeva una vasta cupola di vetro e acciaio. Larghe passerelle di cemento, abbellite nei render del progetto da lussureggianti piante pensili, scandiscono gli spazi e uniscono tra di lorole vare aree. Completano il team di progettazione i berlinesi Grüntuch Ernst e Brandlhuber+ Muck Petzet, mentre Vogt Landschaft si occupa degli spazi esterni. 

Foto di Mazbln da Wikimedia

La rinascita

La maggior parte del complesso è ormai completata e aperta al pubblico. Dificile farsi una prima impressione che non sia guastata dalla nostalgia per ciò che è stato. Le nuove piazze e la galleria create da Herzon & De Meuron rivelano tutti i classici stilemi dello studio svizzero: uso sapiente dei materiali (in questo caso mattoni rotti a mano, per creare un’effetto ruvido e movimentato sulle superfici), finiture in ottone bronzato, cemento di alta qualità lavorato con attenzione. Anche gli altri edifici a prima vista appaiono convincenti, Brandlhuber in particolare conferma la sua fama locale di maestro neo-brutalista. Eppure, passeggiando tra questi spazi vuoti dalle linee pulite, riesce difficile non pensare alle parole di Johannes Novy. In un suo articolo sul nuovo Tacheles, il sociologo tedesco rievoca il concetto di “zombie urbanism”: un’urbanismo “non morto”, che nelle forme imita gli spazi della città storica, senza riuscire però a riprodurne le qualità. Sicuramenti, i prezzi medi degli appartamenti – si parla di cifre medie sui 15mila Euro al metro quadro – non aiutano a sfatare quest’impressione. 

Herzog & De Meuron hanno trattato il “guscio” dell’edificio come un prezioso reperto storico, conservandone le molteplici stratificazioni.
Foto courtesy AM Tacheles

Tacheles è diventato Fotografiska, e rappresenta la quinta sede del noto museo privato di fotografia, dopo quella originale a Stoccolma e le depandance a Tallinn, New York e Shanghai. Herzog & De Meuron hanno trattato il “guscio” dell’edificio come un prezioso reperto storico, conservandone le molteplici stratificazioni – dalle ferite della guerra ai colorati graffiti degli anni novanta e duemila. Sono in particolare questi ultimi a creare, in chi ha conosciuto il “vecchio” Tacheles, un’inevitabile senso di straniamento, che nemmeno il sapiente interior design di Werner Aisslinger riesce a bilanciare. Soprattuto ai piani superiori, ad esempio nel ristorante “Veronika”, i nuovi ambienti esprimono tutto il loro potenziale e la loro piacevolezza, candidandosi a nuovo salotto di una Berlin Mitte più chic e meno underground. 

Un’occasione mancata?

Il portfolio di Fotografiska è di alto livello, anche se a tratti prevedibile, la curatela delle collezioni tradisce un’attenzione piacevole per le particolarità della scena berlinese. 

Ma è soprattutto la gastronomia a farla da padrona nel “nuovo Tacheles”: sia nel già citato ristorante Veronika, che nei due bar e nel café, si riconosce la firma di Yoram Roth, presidente di Fotografiska Berlin, nonchè investitore e co-proprietario di noti locali berlinesi come il famosissimo club “Kater Blau” o lo storico “Clärchen’s Ballhaus”. Non prescinde da una certa ironia che la distinzione tra arte e gastronomia, con quest’ultima esplicitamente incaricata di finanziare la prima, ricalchi la vecchia diarchia del Tacheles tra artisti e Gastrofraktion. 

Foto courtesy AM Tacheles

Per ora, rimane il dubbio che si sia persa un’occasione – l’ennesima, secondo gli osservatori più critici, in una città che negli anni ha fortemente beneficiato della sua immagine di liberalità e sofisticazione culturale, a cui nei fatti ha corrisposto uno sviluppo urbanistico troppe volte banale e poco ispirato. Non rimane che accodarsi alla laconica constatazione del quotidiano “Süddeutsche Zeitung” quando afferma che, con la riconversione del Tacheles, la mitica era “Post-Wende” di Berlino Mitte può dichiararsi ufficialmente finita.  

Immagine di apertura:  Courtesy Am Tacheles