“Chi è Norman? Noi siamo le miriadi di percezioni che ci riguardano. Quindi penso che devi chiedere a molte persone, raccogliere molte opinioni”. Così dice di sé Lord Norman Foster a Walter Mariotti, Direttore di Domus, sul numero 1085 della rivista uscita in dicembre che lo ha preannunciato Guest Editor per il 2024, sintetizzando un’insofferenza a qualsiasi etichetta che possa arginare la molteplicità del suo profilo intellettuale.
Norman è il bambino appassionato di aerei e il pilota di 75 tipi diversi di macchine volanti; lo studente di Yale dove, con l’amico Richard Rogers, fa propri i principi del Modernismo americano; il professionista che, di rientro in Europa, fonda lo studio Team 4 (1963-1967), muovendo i primi passi in quell’high tech che gli vale il riconoscimento, per lui fuorviante, di “architetto-simbolo” del Movimento; ed è l’archistar internazionale (Pritzker Prize nel 1999) che, con uno studio divenuto nel tempo un’ ”azienda” con circa 2.000 dipendenti, ha operato in 60 paesi, sviluppato oltre 400 progetti tra architettura, urbanistica e design.
Nella diversità dei programmi e delle caratteristiche espressive, emergono alcune costanti.
“Un umanista con profonde radici nel passato, consapevole dei bisogni degli utenti e di come l’architettura può migliorare la vita di molte persone”: così dice di lui a Domus Luis Fernández-Galiano, direttore di Arquitectura Viva, sottintendendo che Foster è molto più di un architetto “high tech”. La sua è un’architettura “figlia” del Movimento Moderno nella sua accezione più alta, nel suo cogliere a pieno la correlazione tra arte e ingegneria, tra forma e funzione, per soddisfare bisogni non solo materiali ma anche spirituali degli utenti: per Martin Pawley, saggista e critico di architettura, le opere di Norman Foster sono appunto “tanto più interessanti perché sono contemporaneamente utili come un paio di jeans o una bicicletta e belli come un violino o uno yacht da regata”.
Inoltre, la sua opera è profondamente radicata nel presente e responsiva alle problematicità dell’epoca a cui appartiene, che affronta di volta in volta con strumenti differenti nella convinzione che “l’unica costante è il cambiamento”.
Infine, una cifra del suo lavoro è il profondo ottimismo nel futuro: ne consegue l’interesse ad affrontare le sfide di domani piuttosto che ad analizzare le questioni di ieri, come dimostra l’instancabile ricerca che spesso lo ha condotto a precorrere i tempi e come la Fondazione Norman Foster di Madrid si propone di fare, stimolando nelle giovani generazioni una riflessione sul valore della progettazione come risposta alle sfide che verranno.
Proponiamo una selezione di undici opere, realizzate dagli anni ’70 agli anni più recenti, che rappresentano punti focali nel percorso di Norman Foster: bambino che sognava di fare il pilota, gigante dell’architettura contemporanea, Guest Editor 2024 di Domus.
Tecnica e poetica
Gli esordi vedono l’ottimistica fiducia nella cultura scientifica e in un lessico iper-tecnologico che traspare nella celebrazione dei processi costruttivi, dell’industrializzazione, della leggerezza e della trasparenza. Fino dagli inizi Foster avverte un’”ossessione” per la riduzione dell’impronta ecologica, precorrendo di molti anni la sensibilità contemporanea per la sostenibilità ambientale, e per la qualità fruitiva dello spazio, ricercata attraverso la rilettura di programmi funzionali tradizionalmente “trascurati” dall’architettura: gli ambienti di lavoro diventano luoghi di interazione; gli aeroporti, tipici “non-luoghi” augeriani, sono luoghi d’ispirazione e riscoperta del significato più profondo del viaggio.
1. Willis Faber & Dumas
La sede centrale della compagnia assicurativa introduce elementi fortemente innovativi in termini di concezione dello spazio di lavoro e di sostenibilità. Il volume di tre piani si inserisce nel contesto storico adeguandosi alla scala degli edifici circostanti e ai vincoli dell’impianto stradale medioevale, con cui si confronta attraverso una pianta fluida. La facciata continua in vetro ad alte prestazioni, una tecnologia spinta ai limiti estremi per l’epoca, trasforma l’edificio in un landmark mutevole con le ore del giorno: la luce diurna riflette, sulle superfici quasi nere, le fisionomie dei volumi contigui, mentre il buio notturno dissolve per rivelare gli interni. L’inserimento delle scale mobili, della piscina, del ristorante sul tetto e del giardino riflettono l’intenzione di “umanizzare” l’ambiente di lavoro, incoraggiando un senso di comunità. L’impiego del tetto verde e dell’involucro altamente performante offrono ottime prestazioni energetiche mentre l’introduzione del pavimento sospeso, tra i primi all’epoca, ha anticipato le soluzioni impiantistiche imposte dall’ingresso dell’informatica nell’ufficio.
2. Sainsbury Centre for Visual Arts
In questo edificio situato all’interno del campus della University of East Anglia, Foster prosegue nell’esplorazione di involucri leggeri e spazi flessibili. Il complesso ospita una galleria d'arte e un museo, articolati come un unico spazio fluido che ingloba le diverse funzioni (gallerie, reception, Facoltà di Belle Arti, sala comune e ristorante). L'edificio principale è costituito da una grande struttura cubica rivestita in acciaio con fronte principale vetrato dove lo scheletro prefabbricato è interamente visibile. Gli elementi strutturali e di servizio sono contenuti nelle pareti a doppio strato e nel tetto. L’opera è stata ampliata nel 1988 con l’inserimento di una nuova ala ipogea.
3. Hong Kong and Shangai Bank Headquarters
Foster spinge in quest’opra all’estremo la tecnologia per dare entusiasticamente forma al “miglior edificio bancario del mondo”. L'esigenza di realizzare oltre un milione di metri quadrati in tempi brevi ha imposto un alto grado di prefabbricazione mentre la necessità di costruire contemporaneamente verso il basso e verso l'alto ha portato all'adozione di una struttura a sospensione, con coppie di piloni in acciaio disposte in tre campate. Per Luis Fernández-Galiano, l’opera è “un incrocio del Concorde con il feng shui: futuristico, ma anche consapevole delle lezioni del passato”.
4. 30 St Mary Axe
Norman Foster + Partners, 4. 30 St Mary Axe, Londra, UK, 2004
Foto Nigel Young/Foster + Partners
Norman Foster + Partners, 4. 30 St Mary Axe, Londra, UK, 2004
Foto Nigel Young/Foster + Partners
Norman Foster + Partners, 4. 30 St Mary Axe, Londra, UK, 2004
Foto Nigel Young/Foster + Partners
Norman Foster + Partners, 4. 30 St Mary Axe, Londra, UK, 2004
Foto Nigel Young/Foster + Partners
Norman Foster + Partners, 4. 30 St Mary Axe, Londra, UK, 2004
Foto Nigel Young/Foster + Partners
Norman Foster + Partners, 4. 30 St Mary Axe, Londra, UK, 2004
Foto Nigel Young/Foster + Partners
Norman Foster + Partners, 4. 30 St Mary Axe, Londra, UK, 2004
Foto Nigel Young/Foster + Partners
Norman Foster + Partners, 4. 30 St Mary Axe, Londra, UK, 2004
Foto Nigel Young/Foster + Partners
L’iconico edificio è figlio dell’approccio radicale sviluppato da Foster con Buckminster Fuller nel Climatroffice (1971), un progetto teorico che proponeva una nuova concezione dell’ambiente di lavoro in sinergia con la natura e si traduceva nella concezione di un’enorme cupola ovale di vetro che ospitava uffici multilivello, giardini comuni e scale mobili. La forma di “cetriolo” origina da studi di fluidodinamica computazionale e test meccanici finalizzati a ridurre la spinta del vento. La struttura, composta da un nucleo in cemento armato e da una trama di tubolari romboidali in acciaio rivestiti in alluminio che avvolgono la facciata, consente di liberare i piani da ogni supporto, garantendone la massima flessibilità.
Dalle macchine volanti alle infrastrutture
La passione del Norman-bambino per le macchine volanti non poteva che tradursi nell’entusiasmo dell’architetto per la progettazione di infrastrutture per la mobilità, dagli aeroporti ai viadotti. Secondo Foster, come osserva Frédéric Migayrou su Domus 1085, nelle società interamente determinate dalla mobilità, “l’aeroporto è l’archetipo di ogni infrastruttura” e in particolare “un esempio paradossale di infrastruttura: una città senza abitanti organizzata in base ai flussi dei passeggeri e alle loro esigenze”. Passeggeri di cui l’architetto decifra non solo i bisogni “materiali” – logistici, di orientamento, di sicurezza – ma anche “immateriali”, di benessere psicologico e stimolo esperienziale.
5. Beijing Capital International Airport
Costruito in vista delle Olimpiadi del 2008, l’aeroporto di Pechino è il più grande del mondo. A partire dalle esperienze di London Stansted (1991) e di Hong Kong Chek Lap Kok (1998), l’opera traduce alcuni elementi profondamente innovativi del lavoro di Foster nel reinterpretare lo spazio aeroportuale, reinventato da non-luogo di passaggio a luogo d’ispirazione. Nel terminal, composto da tre volumi collegati secondo uno schema semplice e simmetrico, le sale arrivi e partenze sono collocate alle estremità, semplificando i flussi e l’orientamento dei passeggeri. Come ad Hong Kong, una copertura leggera in acciaio e vetro protegge l’intera struttura, lasciando filtrare luce naturale e contribuendo a segnalare i percorsi suggeriti dalla gradazione cromatica variabile (dal rosso, all’arancio, al giallo, in relazione ai volumi). La forma sinuosa della copertura, punteggiata da lucernari triangolari rivolti a sud-est, suggerisce l’immagine del corpo di un drago, simbolo nella cultura cinese di fortuna e prosperità.
6. Viadotto
L’infrastruttura esprime l’energia delle grandi costruzioni del passato, a partire dalle cattedrali gotiche di cui riafferma la sincerità costruttiva e la tensione ascensionale. Il ponte strallato si estende per quasi 2,5 km tra due altipiani. Con la carreggiata sospesa fino a 270 m dal fiume e il pilone principale che culmina ad un’altezza di 343 m, è il ponte veicolare più alto d’Europa e la più alta costruzione di Francia. La struttura è composta da un impalcato di acciaio e da sette piloni di cemento che si assottigliano verso l’alto e si divaricano in due elementi indipendenti; al di sopra del livello carrabile, i piloni si connettono a una quota di 87 m definendo una sequenza di portali. Nonostante le dimensioni ciclopiche, l’opera dialoga delicatamente con il paesaggio, attraversando la vallata “in punta di piedi”.
Evoluzione, stratificazione e complessità
Nel corso del tempo, Foster ha maturato sempre più il concetto di architettura come sistema composito e integrato di tecnologia e arte del costruire, in grado di risolvere situazioni complesse e di rispondere alla continua evoluzione di contesti naturali e antropici. É il caso dei progetti che innescano nuovi equilibri tra eredità storica e identità contemporanea, aggiungendo un contributo alla ridefinizione valoriale dello spazio pubblico.
7. Centre d’Art Contemporain et Mèdiatheque (Carré d’Art)
Norman Foster + Partners, Centre d’Art Contemporain et Mèdiatheque (Carré d’Art), Nîmes, Francia, 1992
Norman Foster + Partners, Centre d’Art Contemporain et Mèdiatheque (Carré d’Art), Nîmes, Francia, 1992
Norman Foster + Partners, Centre d’Art Contemporain et Mèdiatheque (Carré d’Art), Nîmes, Francia, 1992
Norman Foster + Partners, Centre d’Art Contemporain et Mèdiatheque (Carré d’Art), Nîmes, Francia, 1992
Norman Foster + Partners, Centre d’Art Contemporain et Mèdiatheque (Carré d’Art), Nîmes, Francia, 1992
Norman Foster + Partners, Centre d’Art Contemporain et Mèdiatheque (Carré d’Art), Nîmes, Francia, 1992
Il complesso, che ospita un museo di arte contemporanea e una biblioteca-mediateca su nove piani di cui cinque interrati, dialoga con l’adiacente Maison Carrée – tempio romano perfettamente conservato – attraverso le proporzioni, la nitidezza formale e il pronao. L’interno è connotato da leggerezza e trasparenza, grazie all’impiego di acciaio e vetro. Corti interne che scandiscono l’impianto planimetrico evocano il modello insediativo tradizionale delle case del Midi francese caratterizzato da corti ombreggiate, in un processo di reinterpretazione del passato da cui germina l’impronta contemporanea.
8. Reichstag
In questa opera Foster intende, da un lato, risolvere il rapporto con l’edificio storico profondamente rimaneggiato nel tempo e, dall’altro, rifondare l’immagine istituzionale di una Germania che guarda con fiducia al futuro. Fulcro dell’intervento è la cupola vetrata che domina l’aula parlamentare. L’enorme struttura convoglia la luce naturale ed espelle l’aria viziata attraverso uno scultoreo camino rivestito di specchi, contribuendo alla strategia generale di sostenibilità che include l’utilizzo esclusivo di biocarburanti e la distribuzione dell’energia in eccesso alle sedi governative vicine. La trasparenza, leggibile nell’ampio uso di pareti di vetro e di strutture leggere, non è solo una scelta linguistica ma un intento programmatico teso a sovvertire l’ordine gerarchico tradizionale: i visitatori che accedono alla copertura osservano dall’alto le attività parlamentari, camminando sopra le teste dei decisori pubblici.
9. Elizabeth II Great Court
Il grande cortile al centro del British Museum, dapprima stipato dalle scaffalature della British Library, dopo il trasferimento di quest’ultima è diventato l’epicentro del museo e lo snodo tra questo e la città. Lo spazio è concepito da Foster come fulcro non solo distributivo ma anche relazionale, ospitando punti informativi, bookshop, caffetteria e la storica sala di lettura, oggi convertita in sala espositiva. Ampie scalinate conducono ad una galleria di mostre temporanee e alla terrazza del ristorante. L’intervento restituisce lo spazio alla città, formando un nuovo collegamento nel percorso pedonale dalla British Library a Covent Garden, al fiume e alla South Bank. La monumentale copertura in vetro si appoggia con stupefacente leggerezza sulla struttura storica, evocando l’immagine di un morbido cuscino.
10. Vieux Port
L’intervento rientra nel piano di riqualificazione del lungomare di Marsiglia, capitale europea della cultura 2013. L’operazione si propone di rivitalizzare un’area poco fruita, apportando nuove energie attraverso un linguaggio contemporaneo spinto all’estrema essenzialità che si sovrappone senza traumi all’impianto storico. In questo quadro, la Grande Ombrière, una semplice struttura di acciaio inossidabile composta da una copertura piana appoggiata su otto esili pilastri e riflettente all’intradosso, offre uno spazio multifunzionale di incontro, scambio e relazione.
Anticipare il futuro
Che Norman Foster non sia affetto da quella “sindrome” del genio solitario che spesso colpisce le archistar lo dimostra la modalità con cui da decenni conduce il suo studio: una “fucina” di collaborazione multidisciplinare che spazia dall’architettura all’intelligenza artificiale, alla robotica, all’informatica, alla geometria complessa. Un terreno fertile da cui possono germinare nuovi strumenti e competenze, al passo con la trasformazione di territori e società. E questo è l’assunto che sta alla base della Fondazione Norman Foster, aperta nel 2017 a Madrid: un luogo di studio e di ricerca concepito non solo per trasmettere alle nuove generazioni di architetti, designer ed urbanisti l’eredità intellettuale del suo ideatore ma anche per aiutare, senza scopo di lucro, giovani talenti ad affrontare le sfide del domani anticipandone le risposte.
11. Fondazione Norman Foster
La Fondazione ha sede in una palazzina novecentesca nel quartiere di Chamberi, ristrutturata da Foster con un solo elemento aggiunto: il padiglione con pareti in vetro laminato, destinato ad eventi e all’esposizione di oggetti che hanno ispirato il suo lavoro. Negli spazi principali si colloca una selezione di disegni, modellini e opere d’arte; al piano interrato, l’archivio con oltre 120.000 oggetti.
“La Fondazione si occupa di anticipare il futuro (…). Il suo programma formativo (…) riunisce i migliori laureati di tutto il mondo con mentori leader a livello mondiale, esperti su ogni aspetto della vita civica, sull’acqua, sul cambiamento climatico, sulla robotica. Si va davvero oltre quanto si può fare all’interno dell’esercizio della professione”. Così Norman Foster descrive un approccio intellettuale che trascende l’arco temporale di una vita umana per diventare patrimonio universalmente condiviso e incoraggiamento ad andare avanti.
Immagine di apertura: Norman Foster + Partners, Viadotto di Millau, Millau, Francia, 2004. Foto Jean-Philippe Arles Reuters Corbis