La Cervinia visionaria di Carlo Mollino
Fin dagli anni 30, Mollino elabora una serie di progetti concreti ed idee visionarie per Cervinia. A partire dal progetto del PRG del 1939 fino all’inaugurazione della Casa del Sole nel 1954 passando per molti progetti non realizzati o realizzati in parte. Oltre al PRG, Mollino disegna tra gli altri l’Albergo in zona Cervino nel ’37, il negozio Casa deli Sport del ’41, alcuni schemi per una cappella alpina a Plateau Rosà (1940-41) e la villa Lora Totino del 1946. Per il piazzale delle funivie progetta una serie di complessi turistici come il Centro sportivo in verticale “Quota 2600”, ennesima elaborazione di progetti precedenti, oltre all’ampliamento della stazione di partenza della funivia (stazione Museroche), presumibilmente del 1950.
La stazione fantasma
Già all’inizio non fu un’impresa facile; il Conte Lora Totino aveva deciso di utilizzare la conca del Breuil come teatro per le sue idee di sviluppo turistico. Essendo ingegnere, nel 1936 insieme ad alcuni imprenditori aveva ideato le prime attrezzature sciistiche di Cervinia e costruito la funivia, allora la più alta del mondo, che avrebbe portato gli sciatori al Plateau Rosà a 3500 metri di altezza.
La Cervinia turistica non inizia con la costruzione della Casa del Sole di Mollino ma con l’Hotel Cervinia di Cereghini, già pronto nel 1936. Era stato il conte a ipotizzare di collegare questa futura micrometropoli direttamente al Cervino, immaginando di attraccare l’arrivo su un costone appena al di sotto della vetta dello stesso. Sono questi i primi passi che porteranno alla formulazione del progetto del Fürggen, prima tappa intermedia verso la vetta.
Siamo all’inizio dell’estate del 1950; il sogno di Lora Totino parte con il progetto di Vittorio Zignoli che prevede una campata unica di quasi 3000 metri a coprire un dislivello di 900, senza piloni intermedi. A Mollino resta la parte più ambiziosa, il progetto della stazione di arrivo, da costruire sulla cresta. Italo Barmasse, uno dei realizzatori della funivia, allora giovane aspirante guida racconta: “Avevo 22 anni e fui arruolato per la costruzione della funivia. Eravamo una dozzina di persone e per prima cosa dovevamo costruire la linea elettrica; non c’erano né elicotteri né jeep. Partivamo al mattino presto, facevamo dodici ore di lavoro al giorno, con il pranzo al sacco, portando sulle spalle i materiali”.
Ritengo tale costruzione rappresentativa come soluzione di architettura in altissima montagna, nuova anche come concetto costruttivo.
L’incarico per il progetto della stazione del Fürggen arriva a Mollino durante il cantiere della Casa del Sole, condominio che sperimenta le fattezze del Centro sportivo in verticale “Quota 2600”, prima vera ipotesi sul villaggio alpino. Una costruzione che citava nelle intenzioni i monasteri tibetani di Lhassa, quali cittadine montane autosufficienti e auto-giustificanti. Il Centro sportivo era il filtro dove si entra cittadini e si esce sciatori, la funivia era solo per gli sciatori, quelli bravi come Mollino.
La costruzione del fabbricato in quota era prevista in un’area strategica per la futura salita alla cima, la cresta del Fürggen, spazio duro, pericoloso, a picco su tre lati e unito alla base del Matterhorn attraverso un anfiteatro di roccia. Il progetto delineava un nido alpino, capace di ospitare e solo per pochi istanti la cabina della teleferica e quei pochi, arditi amanti dello sci che si sentivano in grado (e che magari non lo erano) di affrontare la cresta. L’edificio cadeva in avanti, si spingeva a sbalzo oltre il dirupo, pronto a ricevere la cabina in arrivo e a rilanciarla nel vuoto e nell’incertezza di quelle uniche funi a sostenerla, senza piloni, senza altre realtà umane ad attutirne i pericoli.
Mentre gli operai salivano con fatica sulla morena per stendere sul terreno le prime opere propedeutiche alla costruzione dell’impianto, Mollino tra maggio e settembre del ’51 elabora il disegno della stazione che finisce sul primo numero di Prospettive a dicembre: “Ritengo tale costruzione rappresentativa come soluzione di architettura in altissima montagna, nuova anche come concetto costruttivo. È letteralmente ancorata alla roccia, nella quale fu necessario (proprio così, fu) ricavare con mine le piattaforme di appoggio, sia pure parziale: tutto il resto è a sbalzo”.
Nei tre piani previsti Mollino propone una scatola in cemento calata dall’alto, dal tetto in alluminio, e anticipa un passaggio segreto da dove accedere al ghiacciaio, quella famosa galleria nella roccia che si realizzerà nel 1956 e che accompagnerà fino al 1993 gli sciatori a quell’esperienza terrificante che era scendere sulla pista del Fürggen. Un edificio che faceva paura; un disegno che vinceva la paura; quella paura che influenzò tutta la vita di Mollino ma che non prese parte veramente nelle sue scelte: il timore per cercare il senso.
Mollino provava, riprovava a dare un senso a tutto quanto. Andare in montagna con gli sci, correre in auto, sorvolare le Alpi, valevano disegnare il Fürggen, stabilire il punto di ancoraggio delle cerniere, fare ricognizioni magari a piedi, forse con gli sci scendendo sul costone. La stazione fu realizzata partendo dall’idea del conte-ingegnere e dal disegno di Mollino che si modificò in nome delle oggettive difficoltà umane legate all’asprezza e all’altitudine del luogo. I lavori della stazione finirono con il cubo visibile ancora oggi; niente sala d’aspetto né alloggi; niente ristorante, solo un bar per cui Mollino disegnerà i mobili. Niente struttura panoramica girevole disegnata in una delle prospettive ma abbandonata nell’ultimo progetto; il belvedere ci sarà comunque, la terrazza del Fürggen da cui si affaccerà la Lollobrigida e dove troverà posto l’altare regalato da Rascel e che più volte verrà colpito dai fulmini che si scaricano sulla stazione.
Al Fürggen, Leo Gasperl, il campione del chilometro lanciato di Saint-Moritz degli anni Trenta, il maestro dei maestri di sci, sorrise orgoglioso al fotografo mostrando una bottiglia di liquore da pubblicizzare; scese dalla cresta indossando il suo Thiring Mantel, il mantello frenante da pipistrello inventato da un fisico viennese, che consentiva di andar giù dritti. Il mantello “che evita un eccessivo sforzo muscolare. È caduto in disuso perché si teme il ridicolo. Se non si va dritto e veloci le ali si afflosciano. Mentre la massa preferisce curvare”. Gasperl battezzerà il suo cane lupo Fürggen. Qui si ambienteranno sfilate di moda allestite dalla moglie Luciana Gasperl.
Tutto questo fino al 1993 quando le funi si adagiano a terra per il peso del ghiaccio senza mai più rialzarsi. E come un sogno rimasto in sospeso il fantasma della stazione è ancora oggi a disposizione, lontano ma presente. E a chi raggiunge la stazione, che potrebbe essere smantellata proprio perché non più utilizzata, quindi non più utile, essa rivela ancora qualche sorpresa e molto, molto mestiere.
(Luigi Bolzoni)
Il sottile duca bianco
Sono le quattro e mezzo di un pomeriggio di cristallo europeo invernale, lungo la linea di confine tra l’Italia e la Svizzera, a circa 3500 metri sul livello del mare – e la verità è: quella stazione impiccata lassù parla di cosa abbia voluto dire lasciare segni nello spazio e nel tempo del XX secolo.
La prima espressione che conta è dello stesso Mollino – soluzione di architettura in altissima montagna, ovvero imbastire uno stupefacente cappello di eliobeton dopo aver fatto brillare il collo della vetta; se la vetta fosse una bottiglia sarebbe una bottiglia spaccata, pronta per essere usata come arma.
L’espressione numero due ha a che fare con l’obiettivo di quell’arma, cioè il “controllo della natura”, splendida definizione fornita da John Mc Phee per raccontare la costruzione fra l’altro delle dighe a New Orleans: Fürggen non è un disastro naturale, ma oggi appare come il simulacro di una serie di fallimenti seguiti a una serie di sogni.
L’espressione numero tre suggerisce la singolarità di quei sogni, perché il ’900 è stato un secolo come un cono, e al termine del cono non ci sono masse amorfe ma i contorni di un Individuo piuttosto assoluto, nel senso proprio di sciolto – milioni di singoli che almeno in occidente hanno sperimentato sulla propria libertà, sulla tecnica, sulla natura, sul tempo, sul decorso biologico con lo stesso drive ossessivo che presiede alla costruzione psichica dei dittatori e delle popstar. Non si può non pensare al David Bowie di Station to Station, che incarnava sul palco nel 1976 una silhouette dandy e sovraesposta del “sottile duca bianco” retroilluminato di gelo nazista e occhi da tramonto dell’occidente.
Se Mollino fosse stato realmente uno scrittore sarebbe stato Tommaso Landolfi, e se Tommaso Landolfi fosse stato meno isolazionista sarebbe corso ad applaudire l’innalzamento di Fürggen, e ci avrebbe ambientato il racconto chiamato La morte del Re di Francia, in cui il suo solito protagonista aristocratico cerca di vincere un duello psicotico con un ragno in una grande casa avita di campagna.
Ma quelli erano spazi enormi, soprattutto nella psiche. Quelli erano individui enormi, soprattutto nel senso delle possibilità autorigeneranti, gioielli cresciuti senza sosta su alberi rinnovabili all’infinito. Si trattava di non mettere in discussione le risorse, ossia di fabbricare un futuro da cielo fumetto – ma pur sempre un tempo davanti.
L’insieme di condizioni in cui c’erano le risorse, il controllo, il davanti, lo definisco croce di Novecento. Imprese come Fürggen fanno cantare la croce di Novecento. Il primo minuto di quella croce sono stati i Cinquanta. L’ultimo i Settanta: nel 1956 il progetto di Mollino ha fatto spuntare la galleria nella roccia in uno degli attici geologici d’Europa – nel 1973 la crisi petrolifera che ha dato la svolta alla storia degli ultimi trent’anni e anche dei prossimi trenta: lo stesso anno, Mollino muore.
Se l’architettura è un “diagramma economico sul territorio”, il modo in cui Fürggen traccia un raggio a dispetto di tutti gli altri diametri è un diagramma di tempo con una voce cristallina, che canta qua / da noi / non succederà / mai / più. Gianluigi Ricuperati, scrittore e critico, vive e lavora tra Milano e Torino.
(Gianluigi Ricuperati)
Immagine in apertura: Domus n. 889, febbraio 2006