Enzo Mari, Vico Magistretti e Carlo Aymonino. Era da tempo che la Triennale di Milano non ospitava in contemporanea tre monografiche così "di peso". Tre protagonisti del mondo del progetto italiano, di cui Aymonino è il più (relativamente) trascurato dalle storie ufficiali e il più (decisamente) sconosciuto al grande pubblico. “Carlo Aymonino. Fedeltà al tradimento”, la bella e abbondante mostra nata da un'idea di Livia e Silvia Aymonino e curata da Manuel Orazi, mescola sapientemente materiali multiformi e accosta due racconti, Aymonino progettista e Aymonino uomo privato, delineando così una cartografia ricchissima delle geografie professionali, intellettuali e biografiche di un protagonista della storia italiana del ‘900. Ce ne parla il curatore.
Architetto, pittore, teorico, editorialista, docente, politico. La mostra restituisce un’immagine decisamente poliedrica di Aymonino.
Manuel Orazi: Gli architetti, che lavorano all’incrocio di diverse discipline, sono inevitabilmente poliedrici e lo sono stati ancora di più nella seconda metà del ‘900. Aymonino non fa eccezione, ma ha un elemento di unicità, legato alle sue geografie biografiche e professionali. È romano ma già dal 1963 arriva allo IUAV di Venezia, costruisce la sua opera più importante a Milano, il complesso Monte Amiata al Quartiere Gallaratese [1967-1972], ma realizza progetti in tutta Italia, dal Nord al Centro al Sud. È tra i pochissimi protagonisti della sua generazione a godere di una prospettiva così allargata, una visione d’insieme preziosissima in un paese che oggi come allora è segnato da forti resistenze regionali. Aymonino è stato una figura fondamentale di collegamento tra contesti e personalità altrimenti lontane tra di loro.
Insieme al Quartiere Spine Bianche di Matera [1954-1957], il Gallaratese di Milano è anche il progetto più conosciuto di Aymonino. Perché ritieni che si tratti della sua opera più importante?
Proprio perché rappresenta al meglio il carattere poliedrico di Aymonino e la molteplicità delle sue ricerche. Bisogna immaginare che Aymonino era attivo al tempo stesso come architetto e urbanista, come politico, iscritto al Partito Comunista nel 1950, e come giornalista, collaborando regolarmente con testate come Il Contemporaneo e Rinascita. Le sue attività di ricerca erano quasi sempre condotte collettivamente, con personaggi come Aldo Rossi e Costantino Dardi, ad esempio, o ancora con il Gruppo Architettura. Un progetto come il Gallaratese di Milano è la traduzione costruita del confronto e scambio proficuo tra saperi, discipline e personalità diverse. Non si tratta solo del tradizionale affiancamento di teoria e prassi, ma della capacità di articolare in maniera organica riflessione storico-critica e teorica ed esperienza sul campo. È una qualità che emerge con chiarezza in un'altra esperienza, quella della collaborazione con il Comune di Pesaro, cominciata nel 1971, meno nota ma altrettanto rilevante.
La mostra costruisce due racconti paralleli, uno progettuale e uno biografico. Dalla loro combinazione scaturisce un’immagine inedita di Aymonino, a cavallo tra il serissimo “maestro” dell’architettura e l’uomo privato, esuberante e ironico.
Si, il percorso di visita è duplice: delle due pareti principali, che si fronteggiano, una è dedicata alle opere di Aymonino e l’altra ad una sorta di autobiografia scientifica, che attinge dal suo archivio privato, dove abbiamo trovato materiali diversissimi: album, quaderni, schizzi, fotografie, scritti. L’interesse di questa immensa documentazione è anche il fatto che Aymonino non poneva limiti tra la vita personale e quella professionale. Così, può capitare d’incontrare un’immagine di Aldo e Livia Aymonino, due dei suoi quattro figli, subito di fianco a quella di una conferenza di Le Corbusier allo IUAV, tra professori e protagonisti dell’architettura del tempo. Il nostro lavoro, in questo caso, è stato un tentativo di “ricomporre l’infranto”, utopia di ogni storico, naturalmente impossibile da raggiungere. Meglio così, perché Aymonino amava mescolare. Per concludere, dalla sovrapposizione di biografia e percorso progettuale emergono in filigrana tanti decenni di storia dell’architettura, dell’urbanistica, della politica e della cultura italiana. Riletti con la cifra tipica di Aymonino, che è quella dell’ironia.
Come si è svolto il processo di recupero e selezione dei materiali?
Questa è la mia prima mostra ed è stata una grande sfida. La congiuntura sfortunata della pandemia si è rivelata un’occasione inaspettata. Abbiamo potuto tornare più volte negli archivi e fare qualche scoperta insperata. Durante una delle ultime visite allo CSAC di Parma, all’inizio del 2021, abbiamo ritrovato le maquette dei progetti per il Teatro Paganini di Parma [1964] e per il Centre Pompidou di Parigi [1971], rarissimi perché all’epoca i modelli tridimensionali erano soprattutto materiali di lavoro, e spesso venivano buttati. Soprattutto, però, si è rivelata fondamentale l’impostazione corale della ricerca. La collaborazione della famiglia Aymonino e di tanti amici di Carlo è stata cruciale, tra le altre cose, per rintracciare molti quadri della sua produzione giovanile. Tra gli oggetti più preziosi e inediti in mostra vorrei segnalare un bellissimo disegno di Marcello Piacentini, che era il cugino del padre di Carlo. La stessa struttura corale si ritrova nella scrittura del catalogo. La selezione degli autori, che gravitano su città e università diverse, riflette il carattere policentrico delle geografie di Aymonino.
Dagli anni ’90 Aymonino è stato, se non dimenticato, per lo meno trascurato dalla critica e dalle storie dell’architettura. Questa mostra, al contrario, ne propone un racconto ricchissimo in un luogo come la Triennale di Milano, che si rivolge anche al grande pubblico.
Tra le nostre ambizioni c’è quella di far conoscere Aymonino ad un pubblico di non architetti, oltre che di sottolineare l’interesse e l’attualità della sua figura per la cultura architettonica contemporanea. Come altri protagonisti della sua generazione, ad esempio l’amico-nemico Giancarlo De Carlo, Aymonino è stato vittima anche delle oscillazioni del gusto. Un periodo di oblio è esistito, ma visto in retrospettiva non è stato necessariamente un male. A qualche anno dalla scomparsa di Aymonino è possibile riscoprire il suo lavoro a partire da prospettive inedite. Le mostre servono a proporre una revisione delle storie già scritte e questa mostra vuole essere un punto di partenza per una rilettura critica e aggiornata di una figura centrale della storia dell’architettura italiana del ‘900.
- Mostra:
- Carlo Aymonino. Fedeltà al tradimento
- Da un'idea di:
- Livia e Silvia Aymonino
- A cura di:
- Manuel Orazi
- Direzione artistica:
- Lorenza Baroncelli
- Progetto di allestimento:
- Federica Parolini
- Progetto grafico:
- NORM
- Date:
- 14 maggio-22 agosto 2021
- Dove:
- Triennale di Milano