Da secoli le coste europee (e non solo) ispirano a letterati e giornalisti, filosofi e geografi, un’incontenibile tendenza al neologismo toponomastico. Si contano sulle dita di una mano i tratti del litorale del continente che restano “senza nome”. Innegabile, al contrario, è il surplus di coste coloratissime, di tutte le sfumature del verde e del blu, ma anche del bianco e dell’oro. Spesso il vocabolario della comunicazione turistica si appropria di appellativi nati in un contesto letterario (è il caso della Côte D’Azur del poeta e politico Stéphen Liégeard), mentre in altri casi sono i marchi inventati e registrati direttamente dai promotori immobiliari che entrano a far parte del linguaggio comune (si pensi alla Costa Smeralda, di cui l’omonimo consorzio presieduto dall’Aga Khan avvia l’urbanizzazione nel 1961).
Costa Brava è l’epiteto, certamente originale in questo panorama lessicale fatto di mezze tinte, riferito ad un lungo tratto di litorale catalano, a partire dal confine francese. Nel 1908, la penna del giornalista Ferran Agulló lo trascrive per la prima volta sulle pagine del quotidiano regionale La Veu de Catalunya, ma è solo alla fine degli anni ’50 che l’endorsement del governo di Madrid lo trasforma in un brand di successo, in grado d’intercettare e reindirizzare nella Spagna del nord i flussi del turismo internazionale. Le vicende della Costa Brava negli anni successivi e fino ai giorni nostri assomigliano a quelle di tanti altri litorali “valorizzati” del Mediterraneo, in bilico tra spinte alla cementificazione e invocazioni alla difesa del paesaggio. Che comunque, qui, è per molti versi meglio preservato che su altre famose coste iberiche, dalla Costa Blanca alla Costa del Sol.
Nel marzo del 1960, Domus 364 pubblica un progetto di José Antonio Coderch e Manuel Valls per Un albergo e centrotrentun case a Torre Valentina. Situata in “uno dei punti più belli della Costa Brava” ed estesa su 35 mila metri quadri, l’operazione è certamente ad alta densità, e destinata ad avere un forte impatto sul paesaggio costiero. Giò Ponti la descrive in termini entusiastici, soprattutto per la sua capacità di “creare un ambiente”, laddove “non vi è preesistenza ambientale (…). Creandolo, siamo nella tradizione creativa del passato, e nell’impegno di non essergli inferiori in felicità, evitando di essergli succubi”.
L’apologia con cui il direttore di Domus celebra il complesso di Torre Valentina si organizza attorno alle nozioni di ordine e di libertà: “L’architettura è un ordine nella libertà e nella natura (…). La natura (…) giocherà con il rigore di questa architettura ferma, animata dalla presenza e dalla vita dell’uomo. Io preferisco questa schietta presa di posizione, attiva e non passiva, creativa, con tutti i suoi pericoli, che non la mistificazione del paesaggio rifatto, con tutti i falsi non solo formali, ma sociali, vitali, ambientali che ne derivano”.
Sono considerazioni ottimiste, che testimoniano di una profonda fiducia nell’utilità della qualità architettonica. Da un lato, Ponti ritiene possibile che essa si applichi anche alle grandi quantità del turismo di massa; dall’altro, rinunciando a problematizzare il caso specifico nella più generale, frenetica esplosione immobiliare della Costa Brava, sembra affidare alla buona architettura il ruolo di antidoto necessario e sufficiente alle carenze della pianificazione territoriale su larga scala.
La Torre Valentina di Coderch e Valls non sarà mai realizzata, a differenza di molte delle loro ville al mare, per la maggior parte situate proprio sul litorale catalano. Domus le pubblica con una certa sistematicità per tutti gli anni ’50 e fino all’inizio del decennio successivo, permettendo ai suoi lettori di familiarizzare con la raffinata e variegata ricerca del duo sul tema dell’inserimento dell’architettura moderna nel paesaggio mediterraneo.
Il committente della casa Ugalde, a Caldetas (Domus 289, dicembre 1953) pone come solo vincolo al progetto il salvataggio di tutti gli alberi esistenti e la non ostruzione delle tante viste privilegiate di cui il suo lotto gode, verso il mare e l’entroterra. “Così è nata questa pianta snodata e spezzata, in cui il principio mediterraneo di incontro con il paesaggio è portato alla massima apertura, fin quasi al labirinto”. L’edificio si organizza in una sequenza di “poligoni aperti, con pareti alternate di muro e di vetro, come quinte, attraversate dalla luce, dall’aria e dalla vista (…). È un gioco in cui il paesaggio e l’architettura continuamente si rivelano e si nascondono”.
Al contrario, per una villa a Sitges (Domus 350, gennaio 1959), Coderch e Valls adottano un’introversa pianta a T: “poiché non vede il mare, la casa guarda sé stessa, con un gioco di visuali che l’attraversano da una parte all’altra”. E ancora, in una grande residenza del solo Coderch a Punta Canell Gros, nei pressi di Rosas (Domus 420, novembre 1964), “le camere scendono, allineate, seguendo il pendio, verso il mare (…)”. L’edificio “si articola come un piccolo paese: ogni stanza è una casa, con l’uscita diretta all’aperto, e con il proprio terrazzo-giardino (…). Le coperture sono altre terrazze praticabili, altri giardini pensili; mentre il terreno naturale, intorno, è scabro e roccioso, i fiori e il verde sono raccolti fra le mura”. La casa è come “una fortezza con spalti e bastioni”.
Le fotografie in bianco e nero che illustrano i tre articoli immortalano sofisticati interni domestici adagiati, arroccati, o ancora trapassati da ruvidi paesaggi mediterranei, sgombri di costruzioni e completamente aperti verso il mare. Anche in Spagna, come in Italia, nel sud est della Francia e su molte altre coste mediterranee, l’incanto rarefatto di questi scatti avrà vita breve. La speranza espressa da Ponti della qualità nella quantità non si realizzerà. E oggi è con altri occhi, altri parametri, nuove strategie – ad esempio quelle proposte da MVRDV alla fine dello scorso millennio con la celebre ricerca Costa Iberica. Upbeat to the Leisure City – che si può riflettere sui litorali spagnoli delle mille Benidorm, dove la densità è data dalla somma incrementale di grattacieli-isola più o meno generici, e all’apparenza svincolati da qualsiasi disegno ordinatore.