Nella penisola dello Yucatan uno dei resort più spettacolari del nostro pianeta ha dischiuso uno spazio al suo interno come fosse una bambola di una matrioska. È un centro di produzione e creazione trans-disciplinare che unisce arte, design, moda in un universo olistico interamente dedicato alla cura del corpo e della mente. Si chiama Azulik Uh May, nasce dall’esperienza di Azulik – l’insieme di lussuosi alloggi e ville che formano un sinuoso network ecosostenibile in affaccio sull’oceano o all’interno della giungla, ideati a Tulum dall’imprenditore sociale nonché architetto auto-didatta Roth (Eduardo Neira). Il centro completa il lavoro iniziato da IK Lab Tulum, lo spazio espositivo diretto da Claudia Paetzold e coadiuvato da Santiago Rumney Guggenheim – nipote della leggendaria Peggy. La forma di questo luogo è quella di un nido fatto di viti locali e cemento sintetico, si erge all’interno della giungla, è punteggiato da alberi e piante che crescendo trasformeranno la curva ondulata che si presenta agli occhi dei suoi visitatori oggi. L’iniziativa è proseguita sino alla messa a punto di un programma didattico, che rilancia e riposiziona tutto il senso dell’operazione Azulik. Il centro d’arte è oggi il cuore pulsante di una scuola di arti e mestieri – con tanto di masterclass e workshop tenuti da artisti in collaborazione con le comunità locali – dove la cultura della popolazione Maya si intreccia con le estetiche contemporanee. Una casa, una scuola, una galleria sono d’altra parte tre momenti del circolo della vita – la domesticità, l’educazione e l’intrattenimento – che danno ritmo e identità alla nostra persona attraverso il ripetersi di comportamenti, abitudini e scelte quotidiane.
Azulik, il santuario di architettura, arte e artigianato immerso nella foresta
Ad Azulik Uh May si entra a piedi nudi, non si possono fare fotografie e si predilige la memoria corporea e sensoriale a dispetto di quella visiva. In Messico l’arte diventa un santuario di ecologia, spiritualità e benessere attraverso il fare, lo scambio e la contaminazione tra culture.
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- Paola Nicolin
- 28 giugno 2019
- Tulum
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Che senso hanno oggi i centri di produzione ed esposizione d’arte? Dove fonderebbe oggi la civiltà moderna una nuova “scuola del costruire” tra riti ancestrali e nuove tecnologie? In quali condizioni socioculturali potrebbe rifondare l’idea stessa di modernità o anti-modernità tra galleria, casa e spazio pubblico? La penisola è la nuova Chelsea? Paradossi a parte, è pur vero che l’attitudine del Centro Azulik Uh May è la medesima che informa tutta la visione del luogo: rispondere ai bisogni dell’uomo in sintonia con i tempi e le forme della natura entro un atteggiamento che guarda all’ecologia, alla spiritualità, all’arte e all’architettura come elementi di un unico organismo vivente. Temi per altro molto sentiti da artisti, designer e architetti che si trovano a fare i conti e anticipare gli effetti della AI o della AR e un crescente bisogno di spiritualità scientifica. I corsi del centro prediligono l’approccio all’apprendimento attraverso l’esperienza, la cultura dei materiali (la ceramica, la vite, la creta...) uniti all’utilizzo di alta tecnologia (dalla stampa 3D al digitale).
Non stupisce dunque che i futuri sviluppi del progetto Azulik prevedono la crescita dell’avventura proprio a partire dalla sua vocazione alla didattica. Il resort cresce non per numero di stanze ma per laboratori di ricerca su medicina e salute, tecnologia e sviluppo sostenibile, museo d’arte e residenze d’artista. D’altra parte, la stessa galleria IK Lab è una esperienza multisensoriale che fa riflettere se che cosa sia oggi uno spazio per l’arte. Vietato ai minori di 18 anni, è gratuita, aperta tutti i giorni dalle 10 alle 22. Si entra a piedi nudi, il pavimento come ogni superficie è irregolare e non si possono fare fotografie – si predilige la memoria corporea e sensoriale a dispetto di quella visiva, anche se, come già successo in aree di Land Art più ampie e storicizzate, la tentazione del post è del tutto irresistibile.
Courtesy of SFER IK.
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Courtesy of Fernando Artigas Architect/Photographer
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La storia pare interessante, non solo perché intercetta il tema dell’arte come santuario di ecologia e spiritualità e benessere, ma anche perché recupera le proprietà curative dei processi educativi riportando l’esperienza della conoscenza alla dimensione del fare, dello scambio, della contaminazione tra culture. Tale piccola ma potenziale infrastruttura culturale non solo ha realizzato esposizioni uniche – dato il contesto e le condizioni di produzione – di artisti come Ernesto Neto, Tatiana Trouvè, Paulo Nazareth o quella in corso, di Kelly Akashi, Bianca Bondi e Rochelle Goldberg, impegnati nell’interpretare liberamente il tema della trasformazione delle Metamorfosi di Ovidio – ma appare un caso interessante per la messa a sistema di una economia culturale che prevede la relazione tra arte, tecnologia e benessere. In relazione alle tendenze del décor contemporaneo, quali oggetti sono il risultato della contaminazione oggi? Non è forse nella delicata condizione di una digital detox che il nuovo umanesimo digitale può testare i suoi effetti più immediati e schietti?