Se è vero che i taxisti sono spesso il termometro della società, questo vale senza dubbio per quelli della città scozzese di Dundee, che il 15 settembre ha aperto al pubblico il primo Victoria & Albert Museum costruito al di fuori di Londra. V&A Dundee è infatti la nuova sede della più prestigiosa istituzione al mondo dedicata al design, fondata nel 1852 a South Kensington da Henry Cole, tenace designer e impresario che ne divenne direttore sotto la benedizione della regina Vittoria e del suo consorte principe Alberto, che danno il nome al museo. Può un’istituzione-simbolo dell’impresa creativa risollevare le sorti di una città profondamente segnata dalla disoccupazione e dalla crisi economica post-industriale? Come è possibile allestire una collezione di design scozzese – dove, per esempio, si conosce o si riconoscono geni quali Christopher Dresser o Charles Rennie Mackintosh, la storia del tartan o degli stivali Hunter, la carpenteria dell’industria navale e il mondo del fumetto della DC Thomson – e proiettare un ricco patrimonio identitario su un orizzonte globale? Nell’era della Brexit come si racconta attraverso gli oggetti la storia di una città di scambi e immigrazione?
V&A Dundee di Kengo Kuma
L’intento principale dell’architettura di Kengo Kuma è creare relazioni, flussi e circolazione. V&A Dundee è una porta di accesso tra il fiume e la città.
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- Paola Nicolin
- 12 ottobre 2018
L’apertura del museo, diretto da un altrettanto tenace Philip Long, ha inesorabilmente un significato sociale e politico. Tutta la comunica- zione e i progetti – non ultimo proprio la centralità data al Learning center – sono fortemente orientati verso il coinvolgimento della comunità e le scuole. Una posizione peraltro in perfetta coincidenza con quell’idea che l’arte deve stare alla base dell’e- ducazione che è ben radicata nel Paese dello storico dell’arte Herbert Read. Ed è fisiologico pensare alla Tate, al Pompidou e, seppure in modo diverso, al Guggenheim, con le loro operazioni esterne al quartiere generale. Forse questa volta, però, accanto alla tensione verso il tema dell’educazione come cuore del progetto, la scelta di Kengo Kuma rende più radicata l’attenzione al contesto. La sua è d’altra parte un’architettura capace di esprimere concetti in modo essenziale e autentico.
Kengo Kuma and Associates, V&A Dundee, Dundee (Scozia), 2018
Privato dalle sue funzioni maritti- me, il waterfront è diventato prima una soglia inerte e poi un marciapie de sporco. Da qui riparte la città con il suo nuovo faro di antica memoria. Tuttavia, in questi anni una serie di cantieri di hotel e spazi destinati ad accogliere turisti, locali e interna- zionali, hanno iniziato a rimettere Dundee nella geografia dell’economia dell’intrattenimento e della cultura creativa. La consapevolezza di Dundee getta d’altra parte solide radici nell’importante polo universitario scientifico che la caratterizza – University of Dundee e Abertay University partner del museo, insieme col City Council e con la Scottish Enterprise – nell’aver ricevuto dall’UNESCO nel 2014 la nomina di “Città del Design”, nel concentrare sul suo territorio il 10% delle industrie legate al videogame, oltre che nelle prestigiose scuole di arti visive nelle quali si sono formati artisti di fama inter- nazionale. Non ultimo, nell’essere riuscita a raccoglie dal 2008 a oggi una notevole serie di finanziamenti da trust locali e internazionali, supportati dai maggiori fondatori del progetto: il Governo scozzese, il Regno Unito e la Lotteria Nazionale.
E se lo stesso Cole pensava al V&A come a una schoolroom, l’idea di un museo come testa di ponte della rinascita di una città universitaria non sarà poi una cattiva idea. Dal momento delle prime discussioni alla sua inaugurazione sono passati più di 10 anni, si sono succeduti tre direttori del V&A di Londra (Mark Jones, Martin Roth e l’attuale in carica Tristram Hunt), mentre unico è stato il “civil servant” referente del progetto a Dundee, Mike Galloway, Executive director del City Development della città. Tuttavia, a tenere le redini istitu- zionali di questa operazione c’è stata una donna, Moira Gemmil, già responsabile del Design per il museo di South Kensingthon, laureata presso la prestigiosa Glasgow School of Art, che aveva lasciato il museo per dirigere il Royal Collection Trust.
Kuma disegna uno spazio molto flessibile e accogliente. È il suo primo edificio nel Regno Unito. Insieme al capo progetto che ha seguito il cantiere, Maurizio Mucciola, spiegano che nel 2010 la proposta ha convinto la giuria della competizione internazionale con l’idea di un luogo di aggregazione per la città, capace di ridare senso al suo waterfront ristabilendo una relazione tra l’acqua e la città. Kuma presenta oggi il progetto parlando di ‘flussi’ e di natura, di attenzione al corpo delle persone che si muovono, di forme, di materiali e tecniche di costruzione ispirate alle scogliere scozzesi. Alla domanda “Perché mette l’ac- cento sul corpo?”, Kuma risponde “Conosce il Metabolismo? Ecco, di quel momento in architettura non m’interessa tanto la struttura, quanto il flusso delle persone nello spazio”.
E il primo schizzo già definisce una forma in affaccio sul fiume, sinuosa, con un grande vuoto al centro, che riconnette i principali assi della città lungo Union Street e Discovery Point. Formato da due piramidi invertite in apparenza separate al pia- no terra che girando su se stesse si ricongiungono al primo piano, il museo si affaccia sull’acqua e la accoglie al suo interno, gettando le fondamenta dentro il fiume.
L’esterno è realizzato attraverso una sequenza organica di strisce di pietra che corrono attorno a un muro ricurvo di cemento armato. “A Dundee passano quattro stagioni in quattro ore: il sistema di costruzione lavora con l’ombra, la luce e il vento. Abbiamo lavorato per ottenere relazioni visive tra esterno e interno”, spiega Mucciola. Pietra fuori e legno dentro: “Un’alternanza che riprende quella adottata dall’edilizia tradizionale delle case scozzesi”, le stesse che si vedono al di là del fiume, nel borgo di Newport, dove gli abitanti benestanti di Dundee abitavano per non sen- tire l’odore delle industrie provenien- te dall’altro lato del fiume.
Pubblicato in origine su Domus Ottobre 2018.