L’Italia è fragile. La sequenza sismica che, dal 2009 senza soste, sta sconvolgendo il Paese ha svelato un atteggiamento culturale ignaro delle vicende verificatesi nella storia dei terremoti italiani degli ultimi 50 anni. A seguito dei tre recenti eventi tellurici, le modalità d’intervento connesse alla catastrofe, sintetizzabili in azioni sul patrimonio storico, sulle unità abitative provvisorie, sulle nuove opere di ricostruzione si manifestano attraverso risultati estranei a una gestione coordinata, connotandosi come isolati episodi marginali. A fronte di oltre 50.000 edifici da ricostruire e con un investimento superiore ai 20 miliardi di euro di risorse pubbliche, il cantiere Italia è di tipo quantitativo e non qualitativo.
Capitolo 1: L’Aquila 2009–2017
La ricostruzione post-sisma rappresenta una delle spine di questa Italia. Esplorando la zona rossa, L’Aquila si mostra ancora come una città fantasma. Se il modello C.A.S.E., sollevando comprensibili polemiche, non ha risolto i problemi reali di disegnare spazi di vita adeguati e viene tuttora assunto come il simbolo negativo del terremoto abruzzese, appare evidente che la questione è in realtà molto più complessa. Non bastano opere qualificanti come l’auditorium di Renzo Piano o la concert hall di Shigeru Ban: architetture propiziatorie disperse in un territorio dove è urgente valorizzarne l’identità e il carattere specifico, coi quali fondare le prassi della ricostruzione. In tali situazioni, è necessario riscoprire le tracce e gli elementi perduti dell’architettura spontanea e anonima. Un processo di riappropriazione dei segni che deve affidare alla peculiarità del luogo il significato del progetto, riducendo al minimo la prevalente componente tecnicista di linguaggi autoreferenziali avulsi dal contesto, afferenti a un’idea internazionalizzante dell’architettura.
Capitolo 2: Emilia 2012–2017
Come in Irpinia nel 1980, gli sfollati vengono ancora alloggiati in modeste baracche di cantiere allineate in batteria. I riferimenti a Elemental o Toyo Ito sono qui sconosciuti. Si è detto che quello dell’Emilia è il sisma dei capannoni: i ‘soli’ 27 morti per la maggior parte sono vittime dei cedimenti delle strutture isostatiche collassate a causa della mancanza di un collegamento fisso nel nodo tra trave e pilastro. Ma è la geografia essenziale della pianura a essere alterata dalle dinamiche di una ricostruzione che sta facendo più danni del sisma stesso. Le corti agricole rese celebri dalle fotografie di Ghirri e dai racconti di Guareschi sono un pezzo di quel “paesaggio italiano” in via di estinzione. Da sempre contraddistinte da una purezza geometrica e da semplici forme, sono abbattute e cambiate con case in legno prefabbricate rivestite con cappotti termici, PVC e cartongessi. Che siano rifatte come identiche copie goffe o simulino le baite trentine poco importa.
Capitolo 3: Centro Italia 2016–2017
Il rischio vero è quello dello spaesamento. Ovunque il riversarsi di nuovi edifici priverà di riconoscibilità questi territori con intromissioni distruttive e contaminazioni del paesaggio. Per le centinaia di frazioni congiunte da sentieri e fattorie contadine che formano questo tratto della dorsale appenninica il futuro è molto incerto. L’assemblaggio di moduli temporanei di prima accoglienza, risolti con tende e container di pannelli grigi, si ripete con la stessa, metodica regolarità già vista. Le proposte alternative di Shigeru Ban di allestire nella palestra di Camerino camere protette da velari in tela fissati a tubolari di cartone sono un esercizio parziale, non concretizzatosi in una soluzione che avrebbe dovuto essere estesa e diffusa. A parte la mensa di Stefano Boeri ad Amatrice, già operativa, si procede lentamente con scontati inserimenti edilizi. Anche in questi luoghi le tradizionali costruzioni di pietra arenaria saranno sostituite da tecnologici prefabbricati di legno.