La villa Nemazee è una straordinaria costruzione disegnata da Gio Ponti nella lontana Teheran, attualmente minacciata da un piano edilizio che ne propone l’abbattimento con il quale si concluderebbe, nel peggior modo possibile, la sua lunga e travagliata vicenda: incuria, abbandono e reiterati pericoli incombono infatti sulla casa dal lontano 1979 quando, in contemporanea con la rivoluzione di Khomeini, è stata espropriata alla famiglia che l’aveva commissionata.
Trasformata prima in sede dell’Ufficio registro e poi convertita nuovamente in abitazione, oggi la villa è certo “un’architettura ferita” [1] da assurdi interventi: la copertura è stata privata del suo tipico effetto di levità, perché sormontata da uno spesso strato d’impermeabilizzazione; il patio è soffocato da bizzarre cupole in plexiglass; gli interni sono desolati ambienti in cui sopravvivono solo pochi arredi fissi; i servizi sono stati rifatti con materiali scadenti, le porte e le maniglie sostituite. Tuttavia è, ancora, un’architettura in buone condizioni, fino a pochi mesi fa riconosciuto patrimonio artistico iraniano anche grazie all’imposizione di un vincolo di tutela, che è stato rimosso per consentirne la vendita a un gruppo immobiliare.
Una casa, la Nemazee, che è stata spesso raccontata – dallo stesso Ponti e dalla critica di settore [3] – come figlia di un processo ideativo che l’accomuna alle ville argentine disegnate per le famiglie Planchart (1955) e Arreaza (1956); ma che affonda le proprie radici sia nel più generale quadro dell’architettura mediterranea, mediata attraverso la lezione di Bernard Rudofsky (“il mediterraneo insegnò a Rudofsky, Rudofsky a me” [4]), sia in quello specifico della “casa all’italiana”, intimamente legata al rapporto tra ambiente domestico e paesaggio circostante. “Nella casa all’italiana non vi è grande distinzione tra esterno e interno […]: da noi l’architettura di fuori penetra nell’interno, e non tralascia di usare né la pietra né gli intonaci né l’affresco. […] Dall’interno la casa all’italiana riesce all’aperto coi suoi portici e le sue terrazze, con le pergole e le verande, con le logge ed i balconi, con le altane e i belvederi, invenzioni tutte confortevolissime per l’abitazione serena e tanto italiane che in ogni lingua sono chiamate coi nomi di qui” [5].
Disegnata su incarico del ministro Shafi Nemazee e della moglie Vida, grazie al tramite dell’architetto Lolo Foroughi che ne seguì – per conto di Ponti – il lontanissimo cantiere, l’abitazione è tuttavia anche un equilibrato omaggio alla tradizione dell’antica casa a corte iraniana, grazie al patio che si apre sul giardino. Un cortile interno che al contempo si configura come straordinario esempio di stanza incielata, descritta da Ponti nelle pagine di Amate l’architettura, e che è popolato da preziose formelle ceramiche ideate da Fausto Melotti. Perfettamente integrate, se non mascherate, dentro al gioco di nicchie e finestre che scandiscono le facciate interne. Perché anche la villa Nemazee è Gesamtkunstwerk, “una sorta di Palais Stoclet depurato dal lusso secessionista e rivisitato dal gusto democratico e industriale degli anni ’50” [6], in cui volumi architettonici, arredi e opere d’arte gremiscono il palcoscenico su cui si svolge la vita casalinga. Del resto, l’architettura altro non è che una sequenza di infilate prospettiche, pareti scorrevoli, finestre interne, colori, luci, livelli, materiali, che si comprende solo percorrendola “in tutti i sensi: d’andata e ritorno e torcendo e alzando gli sguardi: l’architetto deve essere il regista di questo spettacolo difficile e totale”, pensato come “vivo, cioè con la gente” [7].
Che, dunque, va sperimentato fisicamente e non può sopravvivere solo in disegni e fotografie d’archivio.
1 Shebab Katouzian, in Gio Ponti. Teheran, Villa Nemazee, Domus 901, marzo 2007, p. 67.
2 Gio Ponti, A Teheran una villa, in Domus, 422, gennaio 1965, p. 14.
3 Cfr. per esempio Michele Porcu, Attilio Stocchi, Tre ville inventate, Abitare Segesta, Milano 2003.
4 In Gio Ponti, James S. Plaut, Espressione di Gio Ponti, Daria Guarnati, Milano 1954, p. 25.
5 Gio Ponti, La casa all’italiana, in Domus 12, dicembre 1928, p. 18. In proposito si veda anche: Fulvio Irace, Gio Ponti. La casa all’italiana, Electa, Milano 1988.
6 La descrizione, di Fulvio Irace, era in origine riferita alla villa Planchart ma si adatta perfettamente anche a casa Nemazee. È rintracciabile in Antonella Greco (a cura di), Gio Ponti. La villa Planchart a Caracas, Kappa, Roma 2008, p. 40.
7 Gio Ponti, Amate l’architettura, Vitali e Ghianda, Genova 1957, p. 202.