Mercoledì 3 febbraio 2016, il sindaco Anne Hidalgo ha annunciato la conclusione di uno dei concorsi di architettura più ambiziosi a livello europeo: 22 progetti selezionati tra 360 proposte, con l’obiettivo di “Reinventare Parigi”. La conclusione del concorso segue i drammatici fatti di fine 2015. Da un lato, gli attacchi terroristici del 13 novembre hanno inorridito il mondo intero, dall’altro – a sole due settimane di distanza – i colloqui COP21 sul cambiamento climatico hanno offerto un rinnovato senso di ottimismo, per la collaborazione internazionale.
Queste sfide sembrano trovare riscontro nella gamma e negli obiettivi di questi nuovi progetti. La maggior parte dei progetti selezionati sarà realizzata nelle periferie, con edifici fatiscenti o terreni abbandonati che saranno trasformati in luoghi di rigenerazione e nuovo sviluppo. Tutti si concentrano su particolari proposte urbane, come per esempio lo sviluppo di più spazi di coworking e alloggi per studenti, creando edifici eologici e giardini. Tra i vincitori ci sono Pablo Katz Architecture, che rivitalizza un giardino d’inverno degli anni Ottanta; Perrot & Richard, che creerà un Philanthro-Lab – un incubatore dedicato alla filantropia; e Ory & Associates, che costruirà un ostello con coworking e sale prove per band. Tra le proposte figurano anche edifici con orti per coltivare prodotti per il consumo cittadino, una scuola per la moda e il design, uno studio di danza, un asilo, una serra e uno spazio pubblico per la collaborazione creativa.
Jean-Louis Missika, vicesindaco di Parigi delegato all’urbanistica, all’architettura e allo sviluppo economico, ha parlato con Domusweb di questi recenti avvenimenti e di che cosa Parigi dovrà affrontare in futuro.
Philippa Nicole Barr: Parigi e la Francia hanno da poco vissuto un’elezione regionale, gli incontri di COP21 e Cities for Climate, e i tragici attacchi del 13 novembre 2015. Ha trovato tempo per una riflessione personale, e quali ritiene siano i successi e gli insuccessi degli ultimi tempi?
Jean-Louis Missika: Gli Stati possono firmare accordi, ma alla fine se si vuole realizzare qualcosa, lo si deve fare nelle città, perché è lì che le cose succedono, nel bene e nel male. Il convegno è stato un punto di svolta nell’involuzione delle città in materia di clima.
Philippa Nicole Barr: Anche la sicurezza è una questione nazionale, in cui però sono le città a subire gli attacchi o a reagire alle crisi. La sicurezza risponde allo stesso schema?
Jean-Louis Missika: In una città ci sono due tipi di emergenza: una catastrofe climatica come un’alluvione o un terremoto, oppure un attacco terroristico. Nel primo caso le città sono in prima linea perché occorre gestire la situazione di crisi e occorre gestire la capacità di reazione della città. Per esempio il Comune di Parigi è stato scelto dalla Rockefeller Foundation per far parte del progetto “100 Resilient Cities”, e oggi abbiamo un Chief Resilience Officer, un funzionario responsabile della capacità di reazione. In ottobre, abbiano organizzato un’esercitazione sul un allagamento di vasta portata. E l’esercitazione d’emergenza è stata molto interessante per il coordinamento dei sistemi informativi, dei media, della polizia e dei vigili del fuoco e via dicendo: per capire dove stanno i problemi. Per esempio, la rete della metropolitana è stata individuata come un punto critico, in termini di miliardi di euro di perdite e mesi di disfunzioni.
Philippa Nicole Barr: Avete anche dovuto rafforzare le infrastrutture parigine in funzione della reazione ad attacchi terroristici e a emergenze della sicurezza?
Jean-Louis Missika: Abbiano lavorato con alcuni fornitori di energia, con la RATP, la società che gestisce la metropolitana e con la società delle ferrovie SNCF, e cerchiamo di coordinare queste aziende per creare una piattaforma municipale per capire che cosa si deve fare e che cosa si deve cambiare per gestire questo genere di crisi.
Philippa Nicole Barr: Par di capire che lei ritenga che la soluzione del problema sia tecnica. Ma non pensa che questa tecnologia potrebbe molto facilmente essere usata contro la città?
Jean-Louis Missika: Credo che si possa organizzare molto meglio il rapporto tra polizia e popolazione in occasione di un’emergenza. La gente usa social network come Facebook e Twitter, e quando ci si trova in una situazione d’emergenza si manda un tweet o un SMS: di fatto il vecchio sistema del telefono con un numero per la polizia e i pompieri è piuttosto obsoleto. Inoltre in caso di emergenza si satura molto rapidamente. Quindi bisogna inventare nuovi modi di comunicazione tra le persone e la polizia, attraverso i social network. Ho suggerito di organizzare un hackathon per mettere le persone intorno a un tavolo, gente di Facebook e di Twitter, personale della polizia e rappresentanti delle start-up per trovare nuove soluzioni e nuovi strumenti. Si sa che il Facebook Safety Check è stato usato da oltre 4,1 milioni di persone, gli utenti di Twitter hanno usato l’hashtag, e perciò bisogna inventare nuovi modi di comunicare durante un’emergenza. Ma gli strumenti digitali si possono usare anche prima di una crisi; possiamo lavorare con la polizia per identificare i giovani che si trovano in una situazione di radicalizzazione e trovare il modo di rivolgersi a loro.
Philippa Nicole Barr: Dopo questo attacco il sindaco di Parigi Anne Hidalgo ha dichiarato di non volere che Parigi scendesse a compromessi sullo stile di vita. Ciò nonostante durante il COP21 certe manifestazioni sono state vietate, come pure le riunioni in Place de la Concorde e in altri poli commerciali o nei concerti. È inevitabile che, essendo impegnati in questa guerra contro l’IS, i parigini debbano adattare o cambiare in qualche modo il loro stile di vita?
Jean-Louis Missika: Credo che se cambiamo il nostro stile di vita il nemico ha vinto. Quel che vogliono uccidere è proprio il nostro stile di vita. Quando accadono fatti come quello e poi c’è COP21 – credo sia molto difficile mantenere uno stile di vita esattamente uguale. Oggi si vede ancora gente seduta ai tavoli esterni dei caffè, che vive come ha sempre fatto: ciò che è scomparso è una cosa difficile da spiegare, in Francia la chiamiamo insouciance, la leggerezza della vita. I terroristi prendono di mira città come Parigi e Londra perché moltissime persone ci vivono una vita libera e qui cristiani, musulmani, ebrei e atei si mescolano. Tutti sanno benissimo che si stanno inventando un nuovo modo di vivere insieme, quel che noi chiamiamo ensemble, e naturalmente qui sta il cuore del nostro sistema di valori, i valori per cui ci battiamo. Quello che i terroristi hanno messo in luce riguarda questo aspetto dei valori: vengono vissuti senza esserne consapevoli, ma quando si è sotto il fuoco se ne prende coscienza e si sceglie di essere pronti a morire per essi. Le persone sono profondamente consapevoli che lo stile di vita non sta solo nel consumismo o nella vita facile, è questione di valori fondamentali di libertà e di coesistenza tra le persone.
Philippa Nicole Barr: Vorrei andare oltre ed entrare nelle banlieues, le periferie di Parigi. Secondo altre notizie in queste zone gli immigrati sono stati segregati dal resto della città e possono subire discriminazioni.
Jean-Louis Missika: Beh, a Parigi ci sono gli stessi problemi di ogni altro luogo. Lo stesso problema c’è a Londra, anche se il modo in cui Londra affronta il problema è diverso. A Londra, il senso della comunità è legge, mentre qui cerchiamo di contrapporci alla mentalità delle comunità e abbiamo un’immigrazione più conservatrice. Ovviamente che queste persone abbiano maggiori difficoltà a trovar lavoro è un fatto reale: le organizzazioni terroristiche cercano di reclutare i loro adepti in queste periferie. Ma i tre responsabili dell’attacco contro Charlie Hebdo erano di Parigi, non venivano dalle periferie. Perciò non si tratta precisamente di un problema d’immigrazione, ma piuttosto di un problema di radicalizzazione di una minima parte della popolazione che è difficile da evitare.
Philippa Nicole Barr: Nel 2005 c’erano già stati dei disordini. In futuro la banlieue potrebbe essere uno dei focolai del problema? O trasformerete queste parti di Parigi per renderle più sperimentali e innovative?
Jean-Louis Missika: Di recente abbiamo varato una nuova concezione battezzata “Innovation Belt”. Consiste nel cercare di concretizzare l’economia dell’innovazione in queste zone della ring road che circonda Parigi, e l’idea si basa sul fatto che se si vuole che queste persone lavorino e trovino lavoro occorre formarle al settore dell’economia digitale, dato che è in questo settore che è più facile trovar lavoro perché non occorre avere la stessa istruzione di base. I disordini risalgono a dieci anni fa e le cose ormai sono cambiate, ma dobbiamo accelerare questo processo.
Philippa Nicole Barr: Che cosa potete fare come Comune di Parigi per accelerarlo? Quale sarà il ruolo della creazione di un nuovo governo metropolitano?
Jean-Louis Missika: Naturalmente il progetto a scala metropolitana è importantissima. È difficile da realizzare. I problemi sono due. Il primo consiste nel fatto che tutti i sindaci delle città attorno a Parigi potrebbero avere paura di perdere potere e noi dobbiamo rendere evidente che, al contrario, ne acquisiranno di nuovi. L’altro nostro problema – che voi in Australia e in Inghilterra non avete – è che lo Stato centrale è ben consapevole del suo potere e che Parigi è sempre stata in qualche modo una rivale dello Stato centrale.
Philippa Nicole Barr: C’è un modo di costruire una storia municipale che in qualche modo unisca la lunga storia della città con quella più recente dei nuovi arrivi?
Jean-Louis Missika: Naturalmente sì. L’inclusività è più facile a Parigi che in una piccola città francese. Curiosamente accade che siano le città con il minor numero di immigrati a esprimere le maggiori preferenze elettorali per il Front National, che invece in città come Parigi, con molti immigrati, ha il 9 per cento dei voti. Per quel che vedo le città che sono città mondiali, città globali, praticano l’integrazione, e la gente capisce che si tratta di un arricchimento, che è parte del benessere della città.
Le nuove soluzioni devono provenire dal governo e dai cittadini. Alla fine di gennaio, la competizione “Reinvent Paris” aveva raccolto 815 candidature provenienti da tutto il mondo, con 22 progetti vincitori. È un momento emozionante per Parigi, una città in trasformazione che sta rispondendo alle sfide e agli attacchi affrontando il futuro.