Di cosa è fatta l’architettura? Cosa sopravvive della modernità? Gli interrogativi posti dalla 14. Biennale Architettura sembrano trovare risposte complementari nei due contributi elaborati da Hiroshi Sugimoto per importanti istituzioni veneziane, la Fondazione Bevilacqua La Masa e la Fondazione Giorgio Cini con Pentagram Stiftung.
Teoria delle ombre
Con una mostra fotografica alla Fondazione Bevilacqua La Masa e un padiglione alla Fondazione Cini, Hiroshi Sugimoto indaga le architetture della modernità “per tracciare gli inizi della nostra epoca”.
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- Raffaella Poletti
- 13 giugno 2014
- Venezia
Indagano l’essenza dell’architettura gli scatti fotografici esposti a Palazzetto Tito per le cure di Filippo Maggia, in anticipazione della grande retrospettiva che Fondazione Fotografia Modena dedicherà all’artista il prossimo febbraio 2015. Undici fotografie, molte delle quali inedite, delineano una peculiare risposta all’interrogativo: di cosa è fatta l’architettura? Del variabile aggrumarsi dell’ombra, sembra rispondere Sugimoto. Nelle sue foto, ombra e luce alludono ai volumi, tratteggiano i prospetti, liberano o ancorano gli edifici alla terra.
La cultura giapponese ha profonda dimestichezza con i segreti dell’ombra: lo racconta Junichiro Tanizaki nel suo In'ei Raisan (Elogio dell’ombra), in cui – a metà degli anni Trenta – s’interroga sugli effetti della modernità nella vita e nell’estetica del Paese. Anche Sugimoto si concentra sulle architetture della modernità, che indaga “per tracciare gli inizi della nostra epoca”. Nel dispositivo artistico messo a punto in questi decenni (le Architecture series sono avviate dalla metà degli anni Novanta), sintesi personalissima di occhio macchina e tempo, le architetture sono sottoposte a “prove di erosione” per saggiarne la durabilità.
Innumerevoli gli edifici che si dissolvono completamente nel processo: di essi non rimane traccia. Rari i sopravvissuti, grazie a una forza iconica assai prossima alla warburghiana memoria dell’immagine, “fantasmi per adulti”. Nelle fotografie, in cui “le parcelle di chiarore si amalgamano alle tenebre” (Tanizaki), ritroviamo così il monumento a Sant’Elia e la torre di Einstein, omaggi all’amatissimo Duchamp e al Bauhaus… Spicca nella mostra il trittico di grande formato dedicato al padiglione 2012 della Serpentine Gallery: l’architettura di Herzog & de Meuron e Ai Weiwei è colta nell’ineffabile qualità in cui sfuma il confine tra natura e artificio, e lo specchio d’acqua sul tetto si fa strumento della creazione di un mondo.
Analogo nello spirito, ma di segno completamente diverso, è l’intervento di Sugimoto all’isola di San Giorgio Maggiore. Chiamato dalla Fondazione Cini e da Pentagram Stiftung a realizzare un padiglione collocato in una porzione dell’isola recuperata dall’abbandono, l’artista mette a punto egli stesso un dispositivo architettonico ad hoc: immagina un cubo trasparente dedicato al rito del tè, e affida l’ombra a calibrati interventi nel paesaggio – la recinzione in legno di cedro e canne di bambù, il percorso d’accesso a tessitura variata, la pavimentazione con le pietre e le antiquitates veneziane, la vasca d’acqua in mosaico di vetro.
Hommage à Mondrian, in virtù dell’universalità dei principi compositivi del pittore olandese, la Glass Tea House accoglie il rituale che nel corso dei secoli ha trasformato un atto quotidiano in arte, elargita all’unico scopo di intrattenere i propri ospiti: un’arte antica e ancora vitale che abbraccia tutte le singole arti occidentali in una sorta di Gesamtkunstwerk.
Alla Glass Tea House Sugimoto affida dunque il compito di trasmettere il senso ultimo dell’architettura: luogo di relazioni, tra cosa e cosa, tra uomo e uomo, tra umani e cose.
© riproduzione riservata
Glass Tea House Mondrian by Hiroshi Sugimoto
Le Stanze del Vetro
Isola di San Giorgio Maggiore, Venezia
Fino al 12 ottobre 2014
Hiroshi Sugimoto. Modern Times
Fondazione Bevilacqua La Masa
Palazzetto Tito, Venezia
Fino al 23 novembre 2014
14. Biennale di Architettura
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Venezia