È un parere a prima vista, questo, ma a quanto pare la mostra della Schindler House di Los Angeles, a cura del MAK Center for Art and Architecture, è straordinariamente popolare.
City in a City
“City in a City”, mostra dedicata ai grandi progetti urbanistici di Steven Holl e alla risposta ai problemi della sovrappopolazione, si ritrova bene in un ambiente che sembra all’antitesi, la Schindler House.
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- Katya Tylevich
- 12 febbraio 2014
- Los Angeles
La serata inaugurale di “City in a City: a Decade of Urban Thinking by Steven Holl Architects”, lanciata con una tavola rotonda sull’architettura di Holl e sulla sua importanza, ha richiamato un notevole numero di visitatori. La serata seguente (con una conferenza dello stesso Holl) ne ha raccolti ancor di più. Solo posti in piedi! Ogni sala del celebre “centro polivalente” della Schindler House in quel momento era esclusivamente dedicata a chi si sforzava di ascoltare le parole di Holl, mentre chi aveva avuto la fortuna di arrivare per primo occupava le prime file dei sedili dell’area esterna.
L’ho detto, che piovigginava? Ebbene sì: ripeterò il luogo comune sugli abitanti di Los Angeles che reagiscono al piovischio come se si trattasse di un’esercitazione di difesa civile (accùcciati, còpriti e non uscire di casa). Perciò Steven Holl ha costituito un’attrattiva importante. Ma non è proprio nelle corde del MAK Center allestire mostre di ‘sicuro richiamo’ – cioè dedicate a nomi celebri. Il che non è una brutta cosa. Alla Schindler House si va per (ri)scoprire una figura significativa del passato (Otto Neurath, Esther McCoy), per imparare qualcosa di un periodo trascurato o di un’idea sottovalutata, oppure per tornare a osservare sotto una luce nuova dei movimenti d’architettura. Storicamente è evidente che una mostra esclusivamente dedicata a un architetto contemporaneo e alle sue opere recenti è inconsueta per il MAK Center. “City in a City” perciò è una mostra fuori dell’ordinario, non solo per le opere esposte ma anche per le scelte che hanno portato a esporle.
Insomma: che cosa c’è precisamente in mostra? Be’, sorprendentemente le pareti della Schindler House sono tutte coperte da acquerelli: quelli cui Holl lavora ogni mattino, quando riflette su progetti esistenti e possibili. In una sala un filmato su alcuni progetti completati da Holl in Cina dimostra come questi dipinti si espandano nella vita reale. Giustamente il filmato non comprende interviste, e neppure parole. Il film, come gli acquerelli, privilegia la presenza, l’atmosfera, le ombre e i movimenti degli edifici invece di cesellare articolati concetti.
Su tavoli al centro delle sale della Schindler House stanno sommessamente poggiati modelli d’architettura, sotto i quali si raccolgono le relazioni di progetto delle opere esposte, che si snodano cronologicamente sala dopo sala, a partire dal progetto Linked Hybrid a Pechino (2003-2009), e conducono il visitatore verso le opere attualmente in corso di progettazione. Naturalmente, trattandosi di un discorso sull’architettura, la cronologia, intersecandosi i progetti negli anni, diventa un termine vago.
Oltre a Linked Hybrid gli altri due progetti analizzati nella mostra sono l’Horizontal Skyscraper / Vanke Center di Shenzhen (2006-2009) e lo Sliced Porosity Block di Chengdu (2007-2012). Tre progetti recenti – il Porosity Plan per Dongguan (2013), quello vincitore del concorso Ecology and Planning Museums dell’EcoCity di Tianjin (2012) e il Qingdao Culture and Art Center (2013) — costituiscono la sezione dedicata al non (ancora) costruito.
Le idee influenzano i progetti e i progetti influenzano le idee, è un corollario dell’architettura (e in assoluto dell’arte e di qualunque altra cosa), oltre che di questa mostra in particolare. In “City in a City” non si dà necessariamente maggior peso ai progetti realizzati. E neppure la mostra impila ogni annata di lavoro sopra le precedenti con troppo puntiglio. È molto più interessante l’insolita gerarchia costruita dando grande importanza alla “poeticità” dell’architettura (con gli acquerelli espressionisti di Holl in bella mostra) a paragone con i fatti architettonici concreti (le descrizioni dei progetti di Holl, quando ci sono, sono collocate fuori dal cerchio dei riflettori).
Anche se l’‘arte’ che sostanzia l’architettura di Holl è materia sfuggente, può entrare in rapporto con il visitatore in modo molto più fisico, perfino più emotivo di quanto non possano fare le parole, i fatti o i modelli d’architettura ‘da esposizione’. Perciò “City in a City” è una mostra più fisica che intellettuale, che illustra il modo in cui si usa, si osserva o magari si ignora lo spazio. Dopo l’inaugurazione, Kimberly Meier, direttrice del MAK Center, ne parlava così: “Ovviamente Holl pensa in termini molti più ampi di quelli degli acquerelli, ma invece di pensare con il tavolo da disegno o con il computer, usa un linguaggio molto materiale, molto diretto per entrare in rapporto con lo spazio e con l’architettura”. Questa sensibilità allo spazio, considerato dotato di una specie di identità, di duttilità artistica, è forse ciò che rende così convincenti i progetti di Holl.
“Una delle domande con cui i visitatori escono dalla mostra è: ‘Come fa un architetto a lavorare alla scala di una città?’”, dice Meyer. “È una cosa che va al di là dell’urbanistica o di qualche intervento qua e là, riguarda il modo di vivere tutti insieme in una condizione di alta densità, il modo di integrare tipi diversi di spazio e diversi auspicati modi vivere. Holl mi ha colpito perché, in modo strutturato e particolareggiato, tiene conto dei vari metodi che le persone usano per navigare nella loro vita quotidiana.”
“City in a City”, mostra dedicata ai grandi progetti urbanistici e alla risposta ai problemi della sovrappopolazione, si ritrova nel suo elemento in un ambiente che ne parrebbe all’antitesi: una residenza a un solo piano con una grande corte posteriore, in una città dove di spazio si parla per lo più in termini di “Quanto costa?” contrapposto a “Non abbastanza”. A Los Angeles tutto è questione di differenza del metodo di navigare nella vita: metodi decisamente diversi, secondo le persone e il quartiere. Ma è proprio per queste numerose incongruenze che la popolarità nonché il titolo di questa mostra acquistano tanto significato.
E se il titolo fosse stato in forma di domanda: City in a City?, “Una città della città?” Come possiamo fare in modo che i densi spazi urbani appaiano intimi, invitanti, confortevoli e perfino compatti, in un ambiente per altri versi sterminato, frenetico? Non è una domanda nuova, ma le risposte di questa mostra aprono una nuova fase, caratterizzata da nuove, specifiche esigenze e da una nuova estetica.
Los Angeles in fatto di spazio ha vissuto lussi e problemi senza paragoni. È una città che deve proporsi un futuro che non si adatti a soluzioni costruite nel passato. La Schindler House, progettata per due coppie in cerca di un nuovo stile di vita, di lavoro, di riposo e di impegno, è di per sé una città nella città – se vogliamo ulteriormente il carattere elastico del tema e la necessità di continuare a porlo di volta in volta. È una mostra sul modo in cui le attese e le sperimentazioni intersecano la realtà. Steven Holl ha attirato una folla di visitatori alla Schindler House, nonostante la giornata piovosa, ma chi c’è andato ha assistito a qualcosa di più che a una semplice conferenza o all’illustrazione del corpus delle sue opere: ha visto un po’ del mondo in trasformazione di cui questi progetti sono la risposta.
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Fino al 9 marzo 2014
City in a City: a Decade of Urban Thinking by Steven Holl Architects
MAK Center, Schindler House
835 North Kings Road, West Hollywood