La collaborazione tra Adam Caruso, Peter St John e Thomas Demand è vista come un esempio molto riuscito di ciò che un architetto e un artista possono produrre quando la loro sensibilità è complementare, e il lavoro è basato su un rispetto e una curiosità reciproche.
Il secondo progetto è la Nagel House, una proposta elaborata in comune per un concorso di arte e architettura a Zurigo. Invece di usare il repertorio dei paesaggisti, dell’arredo urbano, delle trame pavimentate, e soprattutto evitando qualcosa che somigliasse a un progetto di arte pubblica, i tre autori decidono di costruire la replica di una celebre casa cinese che ha resistito alla demolizione, fino a che è rimasta precariamente in bilico su una zolla di terra, per poi venire distrutta. Se questo “stubborn nail”, una specie di chiodo ostinato, rispuntasse in mezzo a Zurigo, si andrebbe a cacciare sotto il grande viadotto di cemento armato che attraversa Escher-Wiss-Platz. La proposta di utilizzarlo per un ristorante cinese, e di appendere le lampade di carta all’intradosso del viadotto finiscono di sostanziare una strategia molto chiara.
Il progetto non è stato realizzato, dopo essere stato approvato e pagato, perché i suoi oppositori hanno giocato bene le proprie carte sul tavolo della burocrazia e dei media, fino a che un referendum popolare lo ha definitivamente seppellito, seppure con un margine molto risicato.
La mostra inizia a rivelare la sua complessità nella stanza accanto, durante le due ore di una conversazione moderata da Mario Codognato, autorevole e suadente curatore italiano.
Tutti e tre i progetti, nella differente natura delle collaborazioni, sfidano la pretesa dell’architettura di dare forma a un ambiente, nel momento stesso in cui ci riescono così bene. È importante non equivocare questo punto: è precisamente perché il lavoro di Caruso e St John è così specifico di grande qualità, che il dilemma si presenta in tutta la sua chiarezza, quasi filosofica.
Per prima c’è la questione dell’allestimento. Adam Caruso ha raccontato la storia dei rapporti iniziati con la richiesta da parte di Thomas Demand di risolvere il problema della mostra alla Fondation Cartier; di nuovo un edificio trasparente, e il rischio di essere confinati nelle sale dell’interrato.
Problem Solving è il titolo di un breve testo dell’architetto che si può leggere sulle pareti della mostra romana. Non è un segno di falsa modestia, il più delle volte il problema da risolvere è l’assenza di “spazio”. A Palazzo Pitti le sale riccamente decorate e “intoccabili” suggeriscono la costruzione di una serie di mobili fuori scala come dispositivi per l’esposizione. Nella Kunsthaus di Bregenz di Zumthor, le tende sono movimentate per creare un recinto nel campo aperto della galleria.
Durante la conversazione, Demand si lamenta che gli architetti (in generale, ma non quello che gli siede accanto), vedano l’opera d’arte come un oggetto in una stanza e non come una idea. L’abilità di Caruso e St John di trovare la soluzione senza fare ricorso a elementi architettonici convenzionali potrebbe essere una ragione per cui lavorare insieme. Per usare le parole dell’artista: “Ho smesso di stare lì a ponderare, e gli ho lasciato fare la loro parte. I risultati sono stati per lo più sconcertanti e mi hanno dato da pensare a lungo, anche se credo di avere colto la proposta fin dall’inizio”.
E infine si può discutere la Nagel House, e la sua “mossa del cavallo” sulla scacchiera dello spazio pubblico. Una proposta che mette in discussione l’arroganza dell’architettura e delle pratiche convenzionali dell’arte pubblica, finisce per creare più attrito. Basta la mancanza di senso dell’umorismo della destra populista Svizzera per spiegare la sconfitta di questo intelligente progetto? È necessario visualizzarlo, costruito e dopo qualche tempo, quando la peculiare giacitura della casa sotto il viadotto avrebbe suggerito ai passanti che non conoscono la storia che quella casa in qualche modo generica precedesse l’infrastruttura, come nell’originale riferimento cinese.
In Italia abbiamo una grande abbondanza di queste situazioni, spesso involontarie. Non lontano dalla British School, il sito del Museo MAXXI progettato da Zaha Hadid fu creato nel 1998 dal ritaglio disinvolto di due caserme. Dentro l’involucro del museo è rimasta intrappolata una casa abitata da ostinati inquilini dell’esercito italiano. Può sembrare un parallelo della Nagel House, perfettamente riuscito, perché non progettato. L’architettura è molto presente come questione disciplinare in questa collaborazione, precisamente perché è assente.
Fino al 19 novembre 2013
Madame Wu and the Mill from Hell
Meeting Architecture. Architecture and the Creative Process
British School at Rome
Via Gramsci 61, Roma