Si potrebbe pensare che l’atlante di Le Corbusier sia fatto di palazzi di calcestruzzo ad angoli retti e disposti a griglia, e di edifici color panna su pilastri.
L’atlante di Le Corbusier
La più grande mostra mai dedicata da New York a Charles Édouard-Jeanneret presenta un atlante con paesaggi di varia scala: urbani, marini e, nel caso di Ronchamp, acustici.
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- Hannah Gregory
- 28 agosto 2013
- New York
Questa mostra – la più grande dedicata da New York all’architetto battezzato Charles Édouard-Jeanneret (1887–1965) – presenta un atlante alternativo di acquerelli della campagna svizzera, laghi austriaci, cupole di moschea, litorali curvilinei. Le Corbusier, fino a oggi, non è mai stato apprezzato per la sua attenzione al paesaggio. Le sue visioni totalizzanti sono state criticate per aver trascurato il contesto delle sue “macchine per abitare”. Qui invece Barry Bergdoll, responsabile della sezione d’architettura del MoMA, e Jean-Louis Cohen, curatore e storico dell’architettura, propongono dal punto di vista visivo una spettacolare rivalutazione dell’intera opera di Le Corbusier nei termini del suo rapporto con il paesaggio.
La mostra assume il termine ‘paesaggio’ nel senso più ampio, come realtà e come rappresentazione: la veduta scenografica e la sua riproposta artistica. Nel mondo moderno c’è una continua mediazione tra paesaggio come rappresentazione e paesaggio come fenomeno fisico. Scrive W.J.T. Mitchell che il paesaggio è “sia la cornice, sia il contenuto”: un rapporto che si dimostra cruciale nell’elaborazione dell’architettura e dell’urbanistica di Le Corbusier. Qui ‘paesaggio’ comprende lo schema architettonico e l’intera veduta urbana, ma anche la scena domestica e lo smisura di una dimensione di una stanza come nel Petit cabanon (1951-1952).
Mentre paragonare il ‘paesaggio’ all’interno domestico e alla natura morta purista può sembrare un indebito ampliamento del termine, l’insistenza della mostra sulla scenografia permette di tracciare linee inedite tra le fasi dell’opera di Le Corbusier. Le prime sale mostrano studi all’acquerello e disegni a china che rappresentano vedute che attraversano strade o danno sul mare: linee prospettiche che più tardi l’autore avrebbe tracciato con gli edifici, con le finestre simili a cornici che racchiudono il paysage. Se si osserva da vicino La cheminée (1918), il suo primo dipinto a olio, un caminetto giallastro diviene una spianata sabbiosa con un orizzonte di strutture costruite. Le curve delle nature morte composte negli anni Venti ritornano nella forma del tetto del Parlamento di Chandigarh (1951-1965) e nell’Unité d’habitation di Marsiglia (1945), le cui balconate di béton brut, ispirate nelle proporzioni al Modulor, danno sul contesto provenzale. La transizione dalla pittura all’architettura appare un’evoluzione naturale.
A mano a mano che si segue il cammino di perenne viaggiatore di Le Corbusier la mappatura di questo atlante si delinea in carboncini, disegni, dipinti; in registrazioni di luoghi e studi di siti attraverso molteplici tecniche di rappresentazione. Ci si ricorda la sua unica costruzione autonoma americana grazie a un modello d’architettura della forma a conchiglia del Carpenter Center di Harvard (1961-1964). I collage dei suoi disegni per la sede delle Nazioni Unite sono testimonianza del suo coinvolgimento nel progetto: di fatto un amalgama dei suoi progetti e di quelli, solitamente citati, di Oscar Niemeyer. Sarebbe stato il suo unico contributo a New York, la città che condannava per non aver costruito grattacieli nei parchi.
Pochi preziosi filmati a 16 millimetri registrano il territorio che circonda particolari edifici, come l’inno dedicato dall’architetto ai salici e all’acqua dell’invernale Villa Le Lac (1936) oppure uno spezzone a colori di Chandigarh (1965) che raffigura il popoloso caos del complesso contrapposto all’azzurro tranquillo delle colline di Siwalik. In tutta la mostra il servizio fotografico appositamente commissionato a Richard Pare serve anche a reinquadrare l’architettura nel suo contesto ‘naturale’, benché queste immagini siano esposte troppo in alto sulle pareti per ottenere l’attenzione che meritano.
Seguire i fili conduttori di questa mostra in espansione richiede molta attenzione al visitatore, dato che si vola avanti e indietro dal Mediterraneo – attraverso rapidi schizzi della Grecia e dei Balcani – ai provocatori progetti urbanistici per Algeri, Rio, Parigi e Barcellona, immersi in un panorama di disegni e di vedute aeree. Beatriz Colomina ha scritto su Domus che Le Corbusier fu uno dei primi esponenti del jet set mondiale, dato che i particolari dei reattori per passeggeri hanno avuto un influsso sui suoi progetti. L’esposizione ci mostra come anche le vedute a volo d’uccello dei suoi viaggi transatlantici abbiano fornito nuovi punti di vista: l’aeroplano come nient’altro che “una camera lucida volante” (come scrive il curatore J.L. Cohen) le cui prospettive contribuiscono alle visioni generali dell’architetto.
Perciò la mostra ha buon gioco nel mostrare paesaggi di varia scala: urbani, marini e, nel caso di Nôtre-Dame du Haut a Ronchamp (1950–1955), acustici. Una metafora usata da Le Corbusier per descrivere la condizione della cappella, punto d’equilibrio armonico tra la valle e l’edificio. Benché l’ambizione di ricontestualizzare l’opera di Le Corbusier secondo una definizione estesa di paesaggio venga soddisfatta, questa sensibilità non evita le critiche istituzionali nei confronti del fatto che l’architetto ignorasse il contesto sociale degli edifici. È invece la conoscenza generale del paesaggio di Le Corbusier che genera il tipo di progetto totalizzante che vediamo nella Ville Radieuse, e poi l’uso inedito, in Vers une architecture, dell’espressione paysage urbain (paesaggio urbano). Nel paesaggio c’è energia, ed è forse questa scoperta che persuade Le Corbusier di essere in grado di costruire la città come un ‘paesaggio’ in questo personale senso.
La parola ‘atlante’ deriva dal mito dell’antico eroe eponimo, spesso raffigurato mentre sostiene le sfere celesti o il globo terrestre. Atlante era noto per la sua resistenza, solido come la catena dei monti berberi cui pure dà il nome. Come ritto sulla cima dell’Atlante, Le Corbusier appare un inflessibile controllore del territorio. Ne scaturisce il suo interesse nella creazione non di semplici strutture, ma di vedute: verso l’esterno, dallo spazio di mediazione della balconata o del tetto; verso il basso, dalle costruzioni alte, oppure verso l’alto, come nei macroprogetti urbanistici. Queste sono le vette dell’Atlante di Le Corbusier, e la mostra offre ampi panorami sul mondo dell’architetto.