PERFORMA 13 di Mike McKay è la tredicesima versione della serie e – come nel caso dello studio di Scroggin – l’intera serie è stata realizzata da un gruppo di ricerca collettivo, che ha analizzato le potenzialità dei materiali di tutti i giorni. McKay, nelle varie versioni della serie, manipola dei materiali flessibili tramite la tecnologia di produzione, poi aggrega i pezzi creando una forma sensuale e ondulata.
Chico Nichols ha dato vita a un’installazione usando tubi fittamente intrecciati sistemati in verticale in densità variabile, creando una barriera tra uno spazio privato e i percorsi di circolazione pubblici. La soluzione offriva esperienze visive diverse a ciascun gruppo di spettatori, fornendo anche una pista da ballo interna per gli invitati e spezzando la distinzione tra palcoscenico e spettatore. Un’altra installazione ha costruito uno spazio con una serie di coperte d’emergenza. Appesi in verticale, questi teli metallici sembravano molto pesanti, ma sventolavano alla brezza come il tessuto più leggero mai fabbricato. Un altro gruppo di studenti ha usato una tecnica di proiezione “alla Atwood” per dinamizzare una superficie sfaccettata con un’animazione luminosa.
Come in ogni caso di “l’uno e l’altro” che si rispetti, la situazione non è solo formale, ma anche politica. Raramente progetti di livello così alto si presentano in questo modo. E, tuttavia, in questo senso, si tratta in realtà di un’inversione del progetto venturiano. Nell’opera di Venturi e Scott Brown il quotidiano era integrato in un’architettura di tono alto. Qui è l’architettura a essere integrata nel quotidiano. Mentre Bob e Denise erano maestri nell’analisi e nella critica dell’architettura del quotidiano, gli invitati al Beaux-Arts Ball erano persone comuni, che criticavano l’architettura alta in tempo reale. La loro esperienza, attraverso stimoli visivi e fisici, era per l’architettura una nuova strada da valorizzare.
Nel caso degli schermi di tubi di Nichols, questo rapporto è spezzato sia fisicamente sia metaforicamente. Qui l’architettura è stata creata con i vincoli dell’autonomia e della competenza disciplinari; è stata fatta dagli esperti, in accademia. Questa competenza e questo metodo creativo, profondamente formalizzati e controllati, hanno prodotto parecchi bei pezzi. Ma questi progetti traevano la loro forma da forze esterne alla disciplina, che la collegavano al grande pubblico dei partecipanti alla festa e, quindi, a un contesto culturale più vasto. Per fare sopravvivere l’architettura nel suo ambiente naturale, occorre un maggior impegno anche al di fuori delle gallerie. Matt Shaw (@mockitecture)