Il diritto alla casa è parte centrale, forse il nucleo fondamentale del conflitto sudafricano. La casa non comprende solo il diritto al territorio, ma il diritto a insediarvisi in sicurezza nel tempo. Le proporzioni della vittoria sull’apartheid vengono misurate sul numero di unità residenziali assegnate, numero mai sufficiente e che dà continuità nel presente alle lotte storiche.
Marlboro South
Attraverso la mappatura delle identità e degli spazi della baraccopoli di Marlboro South, lo studio di architettura 26'10 South Architects, con gli studenti di Design dell'Università di Johannesburg, propone una lettura del conflitto sudafricano per il diritto alla casa.
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- Hannah le Roux
- 23 maggio 2013
- Braamfontain, Sudafrica
Marlboro South, zona di accampamenti e di capannoni industriali occupati, sembra un campo di rifugiati. E lo è davvero: un’area temporanea per i residenti espulsi dall’insediamento di Alexandra che, essendo uno dei pochi territori di Johannesburg dotati di collocazione favorevole, è la scena per eccellenza del conflitto e dei suoi effetti. Ogni terreno libero è soggetto all’invasione, ogni residente è portato a identificarsi con una comunità in nome della quale i leader esprimono rivendicazioni e, molto di rado, ottengono qualche vittoria sotto forma di miglioramento di servizi pubblici, di titoli di proprietà e, cosa incredibile, di nuove abitazioni.
Ai confini settentrionali di questo spazio affollato, in edifici e su terreni abbandonati dalla proprietà immobiliare, circa 1.500 abitanti sono accampati in baracche di lamiera zincata, tronchi e fogli di plastica. La difesa dei diritti di questo gruppo è stata assunta alla metà degli anni 2000 da una coalizione di organizzazioni non governative. L’anno scorso, sulla base di precedenti collaborazioni, il Dipartimento d’Architettura della FADA, la Facoltà di Arte, Design e Architettura dell’Università di Johannesburg, è stato coinvolto allo scopo di documentare e proporre cambiamenti a questo ambiente fisico. Un nutrito gruppo di lavoro di una cinquantina di studenti, assistiti dallo studio 26’10 South Architects e dall’intero corpo docente della facoltà, si è trasferito a Marlboro South a metà del 2012, proprio nel momento in cui iniziava l’eliminazione di alcune baracche.
La crisi del territorio si riflette nel tipo di azione scelto dal gruppo. Il progetto è stato riformulato in conseguenza del fatto che era quasi impossibile opporsi alla strategia statale di espulsione e della conseguente carenza di visibilità della comunità. Con il sostegno del Goethe Institut è stata attuata una politica di visibilità, tramite la mappatura delle identità, degli spazi e delle forze presenti in questa particolare area e la loro espressione sotto la forma di una mostra che facesse da strumento di propaganda alla causa della comunità. Accanto alla realizzazione di filmati delle abitazioni e di ciò che vi accade, a fotografie aeree, mappe e racconti orali, gli studenti e gli architetti hanno dato forma a un futuro quartiere destinato ad accogliere gli abitanti espulsi dall’insediamento.
Il progetto collettivo si realizza a vari livelli: mappatura geografica della vita quasi completamente depauperata ai margini delle città africane, omaggio alla gestione comunitaria, progettazione alternativa – alla scala urbana come a quella degli artefatti – alla formula abitativa statale. Ma il punto in cui spicca come progetto rivoluzionario è un singolo aspetto che si è presentato molto in là nel processo.
Gli architetti Eric Wright e Claudia Morgado dello studio BOOM architects, coinvolti par contribuire all’urgente progettazione di abitazioni, hanno trovato il tempo di fermarsi a mappare l’intera storia dell’occupazione di Marlboro South su un’unica linea temporale: la “Mappa dei processi di coinvolgimento”.
Questa mappa comprende le varie forze (organizzazioni non governative, gruppi di studenti, agenzie statali, comunità e tribunali) coinvolte nel processo e le distingue una dall’altra collocandole su fasce corrispondenti alla loro collocazione dell’epoca. BOOM poi ha sovrapposto un sistema di fasce e di linee al diagramma per indicare alcuni dei collegamenti, delle cause e degli effetti dei rispettivi rapporti. Gli eventi dei processi di coinvolgimento, tutti i convegni, le proteste, le espulsioni, le citazioni in giudizio e gli studi punteggiano l’immagine e si ricollegano alle categorie individuate, mettendo in evidenza il ruolo dei media nel portare il conflitto all’attenzione dell’opinione pubblica.
Dopo un forte ingrandimento destinato alla seconda parte della mostra nello spazio dei progetti del Gauteng Institute for Architecture di Braamfontein, l’impatto generale di questa carta del campo di battaglia è destinato a superare ogni singola rappresentazione e ogni singolo progetto. Diventa anzi un gesto progettuale che trascende l’idea secondo la quale il progetto si definisce, alla maniera del Bauhaus, attraverso la produzione di un oggetto. In questo modo dà vita a qualcosa di più strategico. Alla cerimonia inaugurale dalla platea è venuta la proposta improvvisata di usare la mappa come il luogo a lungo atteso del coinvolgimento degli architetti con l’amministrazione cittadina in fatto di collaborazione sul problema dell’abitazione. Appare curioso che il gesto di retroguardia della riflessione, questa rappresentazione dell’arte della guerra, divenga così l’elemento d’avanguardia cui la professione anela da tanto tempo.