In questi ultimi anni, il Modernismo belga del dopoguerra è stato più volte esplorato su scala internazionale. È diventato oggetto di numerosi articoli comparsi sulle riviste specializzate e, grazie a mostre e monografie, il pubblico ha avuto occasione di apprezzare il lavoro di architetti locali, in precedenza sconosciuto oltre i confini nazionali. Per quanto non si possa dire che, in questo Paese, architettura e design appartengano alla cultura di massa, gli anni Cinquanta e Sessanta hanno rappresentato in Belgio un momento di crescita straordinaria nelle arti applicate. A quel tempo, il design e l'architettura avevano un'ampia applicazione in tutta l'organizzazione sociale e gli architetti sperimentavano i principi del Modernismo radicale nella produzione su grande scala di insediamenti residenziali e di nuovi quartieri formati da abitazioni singole.
I maggiori esponenti della scena architettonica belga degli anni Cinquanta—tra cui Willy Van Der Meeren, Jacques Dupuis, Lucien Engels e Renaat Braem—trattavano l'eredità del Funzionalismo ognuno secondo il proprio stile. A una funzionalità senza compromessi e a idee di stampo sociale si accompagnavano, particolarmente nel caso di Willy Van Der Meeren, forme sorprendentemente espressive e quasi decorative, secondo uno standard che si sarebbe presto riflesso anche nel lavoro di progettisti decisamente più provinciali. Un Modernismo piuttosto 'morbido', che raggiunse l'apice nell'Esposizione Universale e Internazionale di Bruxelles del 1958, assunse così in Belgio un'espressione palese, ramificandosi in alcuni casi verso nuove forme storicistiche kitsch e, persino, verso elementi pre-postmoderni.