L'inaspettato allestimento di Umberto Riva (con Emilio Scarano) accoglie i visitatori della mostra "L'Italia di Le Corbusier", sorpresi da un rimando espressivo che attinge al Le Corbusier meno convenzionale, o meglio: a quello meno convenzionalmente noto. Non è infatti il linguaggio purista degli anni Venti e Trenta a ispirare il progetto espositivo, bensì l'impiego di materiali e tecniche tradizionali, filtrato da una spiccata sensibilità avanguardista, che del resto è sempre stato un requisito precipuo dell'immaginario architettonico lecorbusieriano. Una serie di alti diaframmi in doghe di legno, brutalmente assemblate e punteggiate da cromatismi accesi o morbidi sfondi, probabilmente ispirati al Cabanon di Roquebrune-Cap-Martin (1952), parcellizza in spazi più intimi e raccolti la Galleria Architettura del MAXXI. Il percorso così configurato si dipana secondo una logica cronologica, increspata da alcune significative eccezioni.
La figura di Le Corbusier – uno dei maestri indiscussi dell'architettura del XX secolo – oltre che oggetto in passato di una messe imponente di saggi, volumi e di mostre monografiche, è proprio in questi mesi al centro di altre importanti esposizioni che ne indagano aspetti meno noti o legati a particolari occasioni. È il caso delle mostre "Le Corbusier y Jean Genet en el Raval" (al Museu d'Art Contemporani de Barcelona, 7 giugno-21 ottobre 2012) e "Le Corbusier. The Secrets of Creativity between Painting and Architecture" (al Museo Puškin di Mosca, 25 settembre-18 novembre 2012, a cura Jean-Louis Cohen).
L'Italia di Le Corbusier
Cosa è stata l'Italia per Le Corbusier? Fonte d'interesse, suggestione e ispirazione, come racconta la mostra del MAXXI con un inaspettato allestimento di Umberto Riva, fatto di alti diaframmi in doghe di legno.
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- Roberto Dulio
- 11 dicembre 2012
- Roma
Ma cosa è – o è stata – l'Italia di Le Corbusier? Prima di tutto una fonte d'interesse, suggestione e ispirazione per un giovane Le Corbusier – all'epoca ancora Charles-Édouard Jeanneret (1887-1965) – che vi giunge la prima volta nel 1907, a vent'anni, ancora incerto sul futuro. Pittore? Architetto? Le strade s'intrecciano così che i primi confronti prendono corpo in una serie di riproduzioni di affreschi, oggetti d'arte sacra – in mostra lo splendido reliquario del Bargello insieme al disegno di Le Corbusier che lo rappresenta – fino agli schizzi di viste urbane e a quelli più dettagliatamente architettonici, corredati di piante e particolari, della certosa del Galluzzo, in val d'Ema, nei pressi di Firenze, preludio a future prove progettuali del giovane svizzero, come l'Immeuble Villas (1922), che declina secondo canoni avanguardisti il modello organizzativo delle celle certosine.
Dal 1907 alla sua morte, Le Corbusier compirà in Italia 16 viaggi – come hanno attentamente ricostruito Marida Talamona (curatrice della mostra), Claudia Lombardi e Panayotis Farantatos – durante i quali le suggestioni e le ispirazioni cederanno il posto a più concreti interessi progettuali Nel 1934 tenterà d'incontrare Mussolini per proporsi come architetto di Pontinia, l'ultima della città di nuova fondazione del'agro pontino; nel 1936 è di nuovo a Roma, alla Reale Accademia d'Italia per il convegno Volta sui Rapporti dell'architettura con le arti figurative. Nel 1949 al VII Ciam di Bergamo e poi ancora a Milano, Venezia, Roma, Torino, Firenze. Tra le ultime tappe, tre lo portano a sviluppare concretamente dei progetti per l'Italia: quello per il Centro di calcolo elettronico Olivetti a Rho (Milano, 1961-63), di una nuova chiesa a Bologna (1963-65) e del nuovo ospedale di Venezia (1964-65), che si concludono tutti col fallimento dell'iniziativa, per differenti problemi legati alla committenza oltre che per la morte dell'architetto nel 1965.
Le varie tappe del percorso espositivo sono scandite da una rigorosa iconografia, della cui ricerca è responsabile Ferruccio Luppi, caratterizzata da materiali d'epoca – schizzi, disegni, fotografie, modelli – provenienti in gran parte dalla Fondation Le Corbusier di Parigi, dalla Bibliothèque de la Ville di La Chaux-de-Fonds e da altre collezioni pubbliche e private, alternati a riproduzioni che, seppure di ottimo livello, fanno rimpiangere la qualità degli originali. Qualità altissima soprattutto nei dipinti di Le Corbusier – continuerà a essere anche pittore – e di Amédée Ozenfant accostati a opere di Gino Severini, Giorgio Morandi, Carlo Carrà, che rivelano, soprattutto nella seconda metà degli anni dieci del XX secolo, sorprendenti affinità, supportate del resto da contatti diretti tra gli artisti italiani e il maestro svizzero.
Il catalogo che accompagna la mostra – sempre curato da Marida Talamona – è di fatto anche un volume autonomo, che pur costituendo un compendio all'esposizione, si fonda su una serie di saggi che gli conferiscono una propria indipendenza. Frutto degli studi che Talamona affronta da diversi anni sull'argomento (in parte già approdati nel libro L'Italie de Le Corbusier, Paris 2010, dovuto alla stessa curatrice) il volume costituisce anche una sorta di trait d'union tra diverse generazioni di studiosi di Le Corbusier, così ai tradizionali esperti dell'argomento si affiancano nuovi nomi, che aprono lo sguardo a differenti e future prospettive di ricerca.