Ma, si portano via tutto? "Sì, tutto," risponde Sophie O'Brien, curatrice della Serpentine Gallery, mentre ci sediamo nel padiglione progettato da Herzog & de Meuron e da Ai Weiwei. Siamo alla fine di giugno e l'acqua del tetto riflette un cielo londinese sorprendentemente terso. Sophie risponde alle mie domande, ma il suo sguardo è rivolto al gruppo che si sta avvicinando a noi: Julia Peyton-Jones, Hans Ulrich Obrist – direttori della galleria – e Kazuyo Sejima. "Sono giorni molto intensi," sussurra.
Da allora sono passati quattro mesi e presto a Kensington Gardens non resterà traccia nemmeno dell'ultimo dei padiglioni della Serpentine, adesso appartenente a Usha and Lakshmi N. Mittal. I pezzi saranno trasportati via e rimontati, forse, in una delle proprietà del suo portafoglio immobiliare personale.
La proposta di quest'anno desiderava affrancarsi dal carattere di "oggetto" che aveva contrassegnato le edizioni precedenti e, al tempo stesso, intavolare un dialogo con esse. "Adottando un approccio archeologico," spiegava il comunicato stampa, "gli architetti hanno creato un design che invita i visitatori a guardare indietro nel tempo attraverso i fantasmi delle strutture precedenti." L'idea di scavare in cerca della storia di queste architetture appariva al contempo affascinante e paradossale: mentre al cospetto della Serpentine Gallery si invocavano i suoi spiriti, lontano da lì gli undici padiglioni vivevano una seconda vita con nuove identità.
Le architetture prodotte dalla Serpentine Gallery vengono vendute. Non esiste alcun budget già assegnato per la commissione, finanziata invece da patrocini e, al termine dell'esposizione, dal ricavato della vendita dell'opera che, a detta degli organizzatori, non copre più del 40 per cento dei costi. Stando all'inventario ufficiale, la maggior parte dei padiglioni è stata acquistata da collezionisti che preferiscono restare anonimi. Quest'anno però, per la prima volta, il nome degli acquirenti è stato reso pubblico. "Potresti ricordarmi su cosa stai scrivendo?" domanda Sophie.
"Sulla seconda vita dei padiglioni," rispondo.
Storie dall'oltretomba
Sulle tracce della seconda vita dei padiglioni della Serpentine Gallery, emerge una serie di territori turistico-culturali dove lo sviluppo immobiliare e quello culturale collidono tramite la mediazione del capitale simbolico dell'architettura.
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- Marina Otero Verzier
- 12 novembre 2012
- Londra
Avevo iniziato dal primo, quello progettato da Zaha Hadid nel 2000, nato al fine di ospitare una cena di raccolta fondi per celebrare il trentesimo anniversario della galleria. La struttura avrebbe dovuto durare una settimana, ma suscitò un interesse tale da restare in piedi per tre mesi, finché fu comprata dalla Royal Shakespeare Company e reinstallata nel parcheggio di Stratford-upon-Avon nel 2001. Ribattezzato "Summer House", il padiglione serviva da richiamo per attirare il pubblico verso il teatro della città. Secondo le informazioni fornite dalla Serpentine Gallery, alla fine dell'estate venne smantellato.
Il successivo padiglione, Eighteen Turns, progettato da Daniel Libeskind nel 2001, riapparve quattro anni dopo, quando fu ceduto dal suo misterioso (e ignoto) proprietario, e trasportato in Irlanda per celebrare Cork come Capitale Europea della Cultura, dove fu presentato, fra politici, promoter immobiliari e pianificatori, come una "icona della Cork contemporanea e un'espressione delle possibilità creative di architettura per il futuro della città", in particolare per l'(allora imminente) sviluppo urbanistico della zona del porto. Dopo aver prestato i suoi servigi, Eighteen Turns tornò nell'anonimato.
L'acquisizione, da parte del magnate Victor Hwang e della sua compagnia Parkview Internacional, del padiglione progettato da Toyo Ito nel 2002 ricevette un'ampia copertura mediatica. L'opera servì da centro per i visitatori e da vessillo di una delle numerose proposte per la riconversione della Centrale di Battersea a Londra, per essere in seguito trasportata via autostrada a Le Beauvallon, un hotel (anch'esso proprietà di Hwang) situato a pochi minuti da Saint-Tropez, che aspira a diventare una meta del turismo d'elite. Seguendo le indicazioni di Cecil Balmond, la struttura fu riassemblata e riadattata per occupare un posto di spicco nel club privato, sulla prima fila della spiaggia. Sorprendentemente, e sebbene i padiglioni della Serpentine debbano essere la prima opera costruita dai suoi creatori nel Regno Unito, quello di Ito non è l'unico di questi lavori che si gode la sua pensione nel Sud della Francia. E non è neanche l'unico ad aver permesso ai suoi proprietari di conciliare l'interesse per gli investimenti in beni immobili con quello per il collezionismo di architettura d'autore. A pochi chilometri da Le Beauvallon è finito il padiglione del 2008 – progettato da Gehry –, acquistato dal promoter irlandese Patrick McKillen e ricostruito a Château la Coste, un vigneto riposizionatosi nel mercato e rivalorizzato dopo essere riuscito a far convivere le viti con una collezione di opere firmate, tra gli altri, da Nouvel, Ando, Serra e Bourgeois. Lì il Music Pavilion è ancora in attesa di essere destinato a un uso che gli conferisca un valore aggiunto oltre a quello meramente espositivo. "Quanti ne hai visitati finora?" chiede Sophie.
Château la Coste era solo una delle tappe del viaggio che avevo cominciato alcune settimane prima a bordo di un treno notturno in partenza da Londra, che dieci ore dopo arrivava a un parco a tema inglese. Lì si trova, un po' più sporca, rivestita di tela grigia e ignorata dai mezzi di comunicazione e culturali – e forse anche dai suoi stessi autori –, una delle prime opere della vincitrice del Pritzker 2004: il padiglione della Serpentine progettato da Zaha Hadid. Intanto i suoi resti e i suoi sottoprodotti continuano a nutrire pubblicazioni, mostre e testi di architettura. Forse è a questo che si riferiscono quando lo dichiarano "smantellato", evidenziando che abbandonare il circuito dell'elite cultural-intellettuale è, secondo alcuni, un motivo sufficiente per mettere in discussione il valore e l'autorevolezza di un'opera architettonica.
È proprio attraverso i territori dove circolano e si accumulano i padiglioni della Serpentine Gallery che si rivela il funzionamento di una delle macchine più efficienti per la produzione, la riproduzione e il consumo di architettura d'autore. Le traiettorie che descrivono queste opere peregrine mostrano, inoltre, la relazione tra il capitale finanziario, il capitale culturale e la speculazione immobiliare, in più costituiscono una serie di territori turistico-culturali nei quali lo sviluppo immobiliare e quello culturale collidono tramite la mediazione del capitale simbolico dell'architettura. Il padiglione di Hadid non solo è sopravvissuto ma è stato anche dotato di apparecchiature audiovisive, illuminazione e riscaldamento, e si può affittare per celebrare nozze, organizzare feste o concerti a 950 sterline al giorno. Non fa parte di nessuna collezione d'arte, né aspira a essere un punto di riferimento per futuri sviluppi urbanistici ma è, forse, il più attivo dei padiglioni ex Serpentine, giacché nel parco a tema il suo valore d'uso è superiore al suo valore espositivo. Chi, nonostante tutto, voglia visitarlo prenda nota: adesso risponde solo al nome di Sala Kingsford.