Radicali liberi: contesto, teoria, piazza, discoteca

Con Radical City, Emanuele Piccardo affronta il tema della città come spazio di sperimentazione dell'architettura radicale italiana, attiva dal 1963 al 1973 e per molti anni esclusa dalla storiografia ufficiale.

Si è chiusa il 30 giugno a Torino, presso l'Archivio di Stato, la mostra ideata e curata da Emanuele Piccardo in collaborazione con l'Ordine degli architetti di Torino, dall'evocativo titolo Radical City, interamente dedicata alla ricognizione del complesso e sfaccettato universo creativo che, per poco più di un decennio, riunì sotto l'egida del progetto radicale molti nomi di giovani progettisti, artisti, engagés politiques, designer e ironici dissacratori del principio di realtà offerto, sino a quel momento, dalle scuole d'architettura italiane. La mostra è già chiusa, questo è vero, ma ha lasciato aperti alcuni ambiti di riflessione che meritano di essere indagati, ora che le teche sono state svuotate dal loro contenuto di riviste colorate e pop, adesso che dai pannelli di cartongesso sono stati smontati grandi collage di città utopiche e fotoromanzi in bicromia.

Occorre riflettere con un minimo di silenzio intorno a nomi che negli ultimi anni sono stati al centro di ricerche e collezioni, discorsi e rivendicazioni come se l'universo da cui attingere per esorcizzare i fantasmi dell'individualismo, del liberismo, della finanza e, infine, della crisi globale potesse essere proprio e solo quello disegnato tra anni Sessanta e Settanta dalle menti rigogliose di Archizoom, Superstudio, UFO, Gianni Pettena, Ugo La Pietra, Pietro Derossi, Strum, 9999, Zziggurat e compagni. La mostra è infatti l'ultimo tassello di un ricco mosaico che ha visto Emanuele Piccardo impegnato, ormai da diversi anni, nella ricognizione certosina di questo vasto e denso mondo di relazioni e azioni politiche, progetti e oggetti, performance ed esibizioni.

Radical City, mostra a cura di Emnauele Piccardo, all'Archivio di Stato di Torino

In questo senso, la mostra è un display di situazioni, una vetrina minima di una galerie marchande che si dispiega nello spazio della Storia attraverso la convalida di importanti ricerche come quelle di Beatriz Colomina, Roberto Gargiani e Dominique Rouillard, solo per citare alcuni nomi. L'affezione identitaria che ha affascinato e continua ad affascinare un pubblico sempre più vasto di studiosi, studenti, connaisseurs e persone la cui età anagrafica rivela una stretta vicinanza all'alluvione del 1966 così come al "Maggio francese" trascende il puro contesto progettuale intorno a cui si formarono i gruppi radicali e ci pone di fronte a un quesito che sembra sotteso a tutto il percorso espositivo della mostra torinese: l'architettura è la vera protagonista di questo movimento, di questo momento storico o emerge piuttosto come occasione espressiva per promuovere idee e sostanziare ideologie che furono appunto veicolate attraverso il rituale magico del progetto utopico?

Radical City, mostra a cura di Emnauele Piccardo, all'Archivio di Stato di Torino

Recuperando il primo lavoro che Emanuele Piccardo ha dedicato ai gruppi e alle personalità del mondo radicale è possibile ascoltare dalla viva voce dei suoi protagonisti – attraverso una serie di ricche interviste – narrazioni a vasto raggio che rivelano fragilità e inconsapevolezza, ma anche passione e volontà: Dopo la rivoluzione. Azioni e protagonisti dell'architettura radicale 1963-1973 è un collage di storie lasciate libere di vagare nello spazio infinito del digitale. Il contrappunto perfetto a questo documento-documentario è il primo numero cartaceo della rivista Archphoto 2.0 uscito nel 2011 e vero innesto creativo per la produzione della mostra. Medesimo titolo, Radical City, stessa grafica accattivante e precisa ad opera di Artiva Design, che ha curato anche l'allestimento espositivo e progettato l'immagine coordinata, ponte tra la grafica della rivista e la grafica della mostra. Bianco su nero – leitmotiv cromatico di tutto il percorso – viene stampato questo arcipelago di storie che si ammiccano, si rincorrono, si sfuggono, si arrabbiano, condensate visivamente nella vasta mappa, vera grammatologia radicale, che campeggia imperiosa sia in apertura della rivista sia al centro della mostra. Nomi, anni, luoghi, fatti che nella loro essenzialità riportano il lettore/spettatore al lisergico pianeta dell'Utopia grazie alla parola d'ordine di questo mondo ultraterreno: l'ironia, forse unico elemento che nella mostra appare poco, schiacciato dall'impellente necessità di un discorso politico – di allora come di oggi.

L'evento si pone l'obiettivo di riscrivere una pagina importante dell'architettura italiana che ha influenzato le generazioni future di progettisti, da Zaha Hadid a Bernard Tschumi, da Rem Koolhaas a Winy Maas.
Radical City, mostra a cura di Emnauele Piccardo, all'Archivio di Stato di Torino

Forse, per ricondurre all'ordine il caos primitivo di queste creature/creazioni, il curatore ha optato per una scelta paratattica, semplice e di facile consumo che renderebbe la mostra adattissima a essere esportata in ogni scuola di architettura del paese (e non solo). Il tema che viene affrontato è quello della città come spazio di sperimentazione delle teorie espresse dall'architettura radicale italiana, attiva dal 1963 al 1973 – e per molti anni esclusa dalla storiografia ufficiale. L'evento – come dichiara lo stesso Piccardo – "si pone l'obiettivo di riscrivere una pagina importante dell'architettura italiana che ha influenzato le generazioni future di progettisti, da Zaha Hadid a Bernard Tschumi, da Rem Koolhaas a Winy Maas". L'esposizione è suddivisa in quattro aree tematiche: il contesto, la teoria, la piazza, la discoteca. Il contesto a cui fa riferimento Piccardo e nel quale si inserisce l'architettura radicale, rimanda al termine coniato all'epoca dal critico Germano Celant, che il curatore ricorda come periodo ricco di stimoli "è quello degli anni Sessanta: la rivoluzione sessuale, il cambio di gusto dei giovani, l'invenzione della minigonna, le occupazioni delle università per una migliore didattica, gli scioperi e le lotte operaie, l'ondata rivoluzionaria proveniente dal campus californiano di Berkeley e le proteste contro la guerra in Vietnam; ma anche il pensiero di alcuni intellettuali, come Henry Lefebvre e il suo Diritto alla Città o Mario Tronti con i suoi Quaderni Rossi". Questa sezione della mostra mette in evidenza "la crisi del ruolo dell'architetto nella società di quegli anni con la fine del Movimento Moderno, così come la nascita di nuove correnti artistiche: l'Arte Povera in Italia, l'Arte Cinetica e Programmata in Europa, la Pop Art in Inghilterra, la Land Art, l'Arte Concettuale e l'invenzione dell'happening, ad opera di Allan Kaprow, negli USA".

Radical City, mostra a cura di Emnauele Piccardo, all'Archivio di Stato di Torino

La sala dedicata alla Teoria è formata da una selezione dei progetti che rappresentano la deriva della metropoli degli anni Sessanta, una città infinita confusa nella logica del mercato e del consumo. Qui sono presentati i progetti del Monumento Continuo dei Superstudio, la No Stop City degli Archizoom, la Mediatory City del Gruppo Strum e la Città Lineare degli Zziggurat. Una teoria della città svolta attraverso il tema del progetto, condensata nel gesto grafico, nel collage e nella prefigurazione di una tecnologia che avrebbe reso l'uomo nuovamente nomade e sicuramente schiavo. La piazza che qui viene rappresentata è lo spazio pubblico per eccellenza, il luogo in cui si manifesta il conflitto sociale e politico. La piazza è il teatro dell'azione radicale e, come sottolinea Piccardo è "luogo per sperimentare nuove forme di rappresentazione del conflitto attraverso modalità e azioni vicine alle performance e agli happening degli artisti". In questa sezione infatti sono presentate le opere di UFO, Gianni Pettena, Ugo La Pietra e 9999 che tra tutti i protagonisti del mondo radicale sono stati i più sensibili al dialogo con l'arte.

A chiudere la mostra ci pensa la sezione dedicata alla Discoteca, ritrovo di piaceri e delizie in cui i giovani – ma non solo – potevano esprimere la propria creatività al pari dei coetanei inglesi e americani. Luogo paratattico per eccellenza che annulla i confini del corpo e della mente: spazio ludico a 360° votato al pieno coinvolgimento sensoriale, progettato e realizzato da gran parte degli architetti radicali. A partire dal corso di Arredamento e Architettura degli Interni che Leonardo Savioli conduce alla Facoltà di Architettura di Firenze, Pietro Derossi realizza a Torino il famoso Piper Pluri Club, Superstudio il Mach2 e i 9999 lo Space Electronic a Firenze mentre gli UFO realizzano il Bamba Issa in Versilia, e Ugo La Pietra il Bang Bang a Milano. Per i cultori sabaudi dell'affascinante e mitico Lutrario progettato da Carlo Mollino quest'ultima sala avrà senz'altro animato una curiosità antropologica per questi mitici luoghi dal sapore pop che sopperiscono anche all'assenza, nella mostra, di una parte dedicata al design. Suggeriamo dunque al pubblico dei lettori che non si fosse recato a vedere l'esposizione, partendo dalla mappa radicale fornita da Piccardo, un gran tour radicale che si concluda, immancabilmente, in una stroboscopica sala da ballo.

Elisa Poli è co-fondatrice insieme a Giovanni Avosani del gruppo di ricerca Cluster Theory