Le molte vie di David Chipperfield

La 13. Mostra Internazionale di Architettura Common Ground identifica il potere collettivo dell'architettura come valore da riscoprire attraverso il dialogo.

Common Ground — terreno comune — è un'espressione che David Chipperfield, direttore della 13. Mostra Internazionale di Architettura, ha preso in prestito dalla fisica per dare un titolo alla sua Biennale. "Il termine Common Ground", spiega, "in Inghilterra viene usato soprattutto in politica e, in particolare, con il verbo al condizionale. Common Ground è così quello spazio condiviso, in cui due o più persone dichiarano di aver probabilmente trovato un punto d'incontro".

In politica il condizionale è d'obbligo, mentre in architettura, secondo Chipperfield, scoprire un terreno comune obbliga a fare un passo indietro da se stessi e dal proprio lavoro: soprattutto quando si occupa una posizione di primo piano. Se guardiamo al panorama contemporaneo, infatti, possiamo trarne un'impressione che non corrisponde a realtà: una serie di edifici singoli, di alta qualità, può far sembrare che l'architettura goda di "buona salute". Essi però rappresentano solo l'1% della scena, mentre il restante 99% ha, di fatto, abdicato a esercitare un ruolo positivo. Chipperfield, inoltre, sottolinea come gli autori di questo 1% non siano isolati gli uni dagli altri: sono archistar certamente, ma le cui traiettorie s'incrociano spesso, influenzandosi a vicenda.

Non è quindi un rappel à l'ordre quello che l'architetto inglese ha lanciato il 2 maggio dall'aula magna della facoltà di architettura di Roma, quanto una strategia di confronto. Chipperfield istilla l'arte del dubbio negli autori coinvolti nel suo progetto, chiedendo loro di istaurare un dialogo comune e di riscoprire il "potere collettivo dell'architettura". Il suo ruolo è più quello di un negoziatore, volto a provocare reazioni chimiche tra le persone. Non esiste un metodo univoco per guardare al mondo in modo collettivo: per Chipperfield le vie possono essere molte e, spesso, di segno diametralmente opposto.

In apertura: Aga Khan Development Network, AKDN Historic Cities Programme, Bagh-e-Babur & Gorzagah. Sopra: Ruta del Peregrino: Composite image (foto di Iwan Baan; per gentile concessione: HHF)

Ci interessano molto le posizione diverse che Chipperfield presenta a Venezia: in tutto sono 58 gruppi che vanno da Hans Kollhoff allo studio inglese FAT (Sean Griffiths, Charles Holland, Sam Jacob); da Shiraz Alibhai dell'Aga Khan Development Network agli autori della Ruta del Peregrino in Messico (HHF Architekten, Christ + Gantenbein, Tatiana Bilbao, Derek Dellekamp, Ai Weiwei, Alejandro Aravena, Luis Aldrete, Periférica); dai sudafricani Noero Wolff ai sudamericani Rafael Iglesia (Argentina) e Solano Benitez (Paraguay); dalla squadra messa in campo da Kenneth Frampton (Steven Holl, Rick Joy, Patkau Architects, Stanley Saitowitz, Shim-Sutcliffe Architects) a quella che si riconosce nella rivista indipendente italiana San Rocco. In mostra, inoltre, i lavori di Thomas Demand, Peter Fischli e David Weiss (scomparso lo scorso 27 aprile), e di Thomas Struth.

Grafton Architects, Concept Sketch (per gentile concessione: Grafton Architects)

Common Ground crea matrimoni insperati, come nel caso di Grafton Architects e di Paulo Mendes da Rocha. La proposta delle irlandesi Shelley McNamara e Yvonne Farrell parte da un incarico reale: il progetto di un campus universitario in Perù. Da europee, decidono di immergersi in questo continente, prendendo come riferimento il lavoro del brasiliano Mendes da Rocha, e con lui istituiscono un dialogo sul piano delle idee e dell'architettura.

Justin McGuirk e Alfredo Brillembourg e Hubert Klumpner di Urban-Think Tank lavorano invece su un concetto molto attuale: ciò che Chipperfield chiama la "resilienza dello spirito umano". Dimostrano che la strada per raggiungere un possibile equilibrio negli ambienti urbani, nei quali lavorano abitualmente (le favelas di Caracas), non passa necessariamente per l'idea di ordine quanto per quella di informalità.

Questa Biennale assomiglia a un albero: Chipperfield è partito da una prima selezione di curatori che, a loro volta, hanno coinvolto altre persone. Si è così messo in moto quello che l'architetto inglese ha definito un meccanismo di auto-curatela molto incoraggiante.

Non esiste un metodo univoco per guardare al mondo in modo collettivo: per Chipperfield le vie possono molte e, spesso, di segno diametralmente opposto
David Chipperfield, Direttore della 13. Mostra Internazionale di Architettura, e Paolo Baratta, Presidente della Biennale di Venezia (foto di Francesco Galli; per gentile concessione: la Biennale di Venezia)

Se ci è permessa una piccola critica, mancano all'appello Paesi come la Cina, mentre l'India e il Brasile sono presenti con un unico autore. Questi altri mondi saranno comunque rappresentati attraverso le Partecipazioni nazionali (55) che quest'anno s'arricchiscono della presenza di cinque nuovi Paesi: Angola, Repubblica del Kosovo, Kuwait, Perù e Turchia. Tra i curatori selezionati, notiamo la presenza di Noura Al-Sayeh per il Bahrain, Petra Blaisse di Inside Outside per l'Olanda e Inês Lobo per il Portogallo.

Durante la conferenza stampa, inoltre, è stato annunciato che il Ministero per i Beni e le Attività culturali avrebbe comunicato al più presto il nome del curatore del padiglione italiano, ancora latitante. Promessa fatta e mantenuta: il giorno dopo, la riserva è stata sciolta in favore di Luca Zevi.
Laura Bossi

Justin McGuirk, Alfredo Brillembourg, Urban-Think Tank, Concept Image (foto e per gentile concessione di Justin McGuirk)
Hans Kollhoff, Studio (per gentile concessione: Hans Kollhoff Architekten)
Noero Wolff, Detail (per gentile concessione: Jo Noero)
MUF, Concept Sketch (per gentile concessione MUF)
FAT, Concept Sketch (per gentile concessione FAT)