Puoi leggere qui la serie dei commenti a Project Heracles ricevuti fino ad oggi.
Che l'architettura sia in buona parte amorale è scritto nelle sue origini e nella sua evoluzione. Vitruvio era pur sempre un ingegnere militare, e quando leggiamo della povera signora Savoye, invitata da Corbu a mettere delle "belle piante selvagge" all'ingresso dell'inabitabile capolavoro di Poissy, o di Miss Farnsworth, sedotta, abbandonata e pure perdente nelle cause legali contro Mies, l'umana empatia confligge con il sentimento di identificazione che, da architetti, proviamo per la crudeltà dei maestri, per la loro determinazione nel raggiungere un esito disciplinarmente significativo.
La dimensione profondamente etica della proposta di Lieven De Cauter e Dieter Lesage (insieme all'impossibilità' del tema e alla sintesi estrema della forma-cartolina) funziona quindi da efficace mezzo di contrasto, contribuendo a rivelare paure, desideri, tic, perversioni, derive ideologiche e feticci di un campione significativo di colleghi. Allo stesso tempo, consente a chi guarda i duecento 'progetti' inviati a Domus di capire qualcosa di se stessi, di effettuare una sorta di test fai da te: come se fossero, nella loro variabile indeterminazione, altrettante macchie di Rorschach architettoniche...
Cartolina #140. [immagine in alto] Dal sogno all'evidenza dei numeri. La visualizzazione grafica delle rotte dei migranti, dei nodi dove queste confluiscono e delle quantità coinvolte mostra una realtà impressionante. Lo stretto di Gibilterra ne risulta come uno dei colli di bottiglia maggiormente problematici, ma la dimensione del Sahara impressiona di più. Un tema per una nuova consultazione?
Project Heracles #13
Paure, desideri, tic, perversioni, derive ideologiche e feticci trovati dal ricercatore triestino tra le pieghe di alcune tra le proposte inviate per il concorso.
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- Giovanni Corbellini
- 18 novembre 2011
- Trieste
Cartolina #5. [sopra] Anche qui emerge una certa ambiguità, forse involontaria. Per affrontare il dramma dei naufragi cui troppo spesso vanno incontro le povere imbarcazioni dei migranti si propone di disseminare i bracci di mare più frequentati con isole galleggianti attrezzate. Queste isole sono però quelle delle barzellette: montagnole deserte (color sabbia) con una palma inclinata di lato... Strano che, invece dei bengala di segnalazione, non siano state equipaggiate di bottiglie cui affidare i messaggi di soccorso.
Cartolina #20. [sopra] Una 'cancellata' (ottenuta, appunto, cancellando parte di una stampa d'epoca) esorta a chiedersi: "Chi c'è dietro le sbarre?"
È un invito a conoscere meglio gli africani? O a farsi domande su chi è effettivamente prigioniero: noi europei trincerati dietro i 'muri' delle nostra frontiere o chi preme per entrare?
Più la guardo e più mi chiedo se l'efficacia dell'immagine (un semplice gesto grafico a contrasto con la grazia figurativa del disegno originale) si risolva nello spingerci all'indignazione verso la ferocia con cui l'Unione Europea si è trincerata dentro i suoi confini o nel rassicurare il nostro desiderio di vivere da privilegiati abitanti di una gigantesca gated community.
Che l'architettura sia in buona parte amorale è scritto nelle sue origini e nella sua evoluzione.
Cartolina #22. [sopra] Gli stessi precari natanti cui i cosiddetti clandestini affidano le loro speranze, moltiplicati e collegati tra loro, costituiscono una continuità percorribile. Al contrario delle cartoline precedenti, eurocentriche, paternalistiche, se non addirittura ciniche, questa colorata distesa di canotti propone un punto di vista diverso: non solo per l'inquadratura (che sembra orientata da sud a nord, seguendo la rotta dei migranti), ma soprattutto per un processo gestibile dal basso, auto organizzato, senza progetto, capace di unire l'economicità del riciclo all'efficacia del ready-made.
Cartolina #118. [sopra] Ready-made sono anche le mongolfiere messe in fila a sostenere una lunga passerella tra un continente e l'altro. Ma si tratta di un'immagine molto più fighetta, nel soggetto e nella fattura raffinata. Non so se cogliere l'ironia di un passatempo per ricchi sfaccendati usato a favore di chi è costretto ad affrontare bisogni più primari o optare per una dimensione poetica, una suggestione di leggerezza sognante... Giro la cartolina e mi rendo conto che l'autore ha pensato alla seconda, mentre la possibile presa per i fondelli (tipo: "non hanno pane? mangino brioches!") è tutta nella mia testa.
Cartolina #95. [sopra] Italo Calvino, citato dalla precedente cartolina #22 (dove la concretezza di Marco Polo si contrappone all'attenzione per l'immateriale di Kublai Khan), ritorna, insieme a Dante, nella cartolina #95. L'inversione alto/basso di una delle Città invisibili viene richiamata qui per descrivere una Manhattan sommersa che fa da supporto a un rettilineo percorso da uomini neri (forse solo perché in controluce...). La calma piatta del mare accelera la dimensione simbolico-onirica dell'immagine, dove l'accostamento di navi semiaffondate, il toro della pubblicità del prosciutto (divenuto icona della Spagna), un suo omologo sulla sponda africana (la silhouette di un elefante) e, soprattutto, le sommità dei grattacieli che emergono come isole ricorda la straniata grammatica dei rebus. Non so se abbandonarmi all'effetto surrealista (rivisto attraverso Spielberg) o cercare significati reconditi: la civiltà occidentale sommersa dagli eventi dai lei stessa provocati?
Cartolina #122. [sopra] Le persone che si intrattengono amabilmente sul ponte delle mangrovie sono invece bianchissime. Al di là dell'identificazione con una delle parti in causa (visti i continenti coinvolti), sarebbe stato più coerente farle blu: solo l'enorme albero-condominio dei na'vi riuscirebbe a far spuntare delle chiome arboree dai mille metri di profondità dello stretto... Tuttavia, dietro l'atmosfera di facile ecologismo alla Avatar, l'idea di usare un substrato biologico appare più interessante di tante esibizioni di muscolarità costruttiva.
Cartolina #145. [sopra] E allora, visto che le dimensioni in gioco rendono impraticabile tanto il ricorso alle soluzioni tecnologiche quanto l'impiego di materiali biologici, non rimane che unire le potenzialità di ambedue gli approcci. È quanto propone il progetto Gene linkare: il collegamento tra le due sponde viene ottenuto attraverso una crescita accelerata di corallo indotta da batteri ingegnerizzati in laboratorio.
Il progetto della natura è un ossimoro tanto più intrigante se prodotto all'interno di una ipotesi programmatica così politicamente corretta: il fine giustifica i mezzi? buone intenzioni e mutazioni?
Verso una architettura geneticamente modificata...