"L'architettura è una combinazione di scienza e di narrazione", afferma Winy Maas di fronte a un pubblico di oltre ottocento studenti di architettura che pendono dalle sue labbra, accorsi in folla a Taipei per assistere alla galoppante maratona del maestro olandese dell'architettura fantascientifica tra le diapositive di progetti concettuali.
È arrivato fin qui per realizzarne uno di più, nella forma della mostra Vertical Village, inaugurata a inizio ottobre in un ex magazzino di tabacchi e vini in piena città, sul cui tetto ora sta in bilico una multicolore montagna di casette giocattolo.
La mostra è l'esito di un progetto di ricerca triennale commissionato dalla JUT Foundation for Arts and Architecture, emanazione culturale dello JUT Group, società immobiliare dell'edilizia residenziale di lusso di Taiwan. È il quinto progetto del programma Museo del domani, iniziativa itinerante che vede la trasformazione di siti inutilizzati in installazioni temporanee: "destinazioni provvisorie" che creano clamore intorno ai futuri progetti edilizi e accrescono l'immagine in costante ascesa della società. Realizzata da The Why Factory, il centro studi del TU Delft (il politecnico della città olandese), Vertical Village è un potente insieme di scienza e di narrazione, di precisione e di fantasia, un'indagine onirica sul futuro della rapida urbanizzazione delle città asiatiche: da Taipei a Tokyo, da Pechino a Bangkok.
Vertical Village
Realizzata da The Why Factory, la mostra è un'indagine onirica sul futuro della rapida urbanizzazione delle città asiatiche.
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- Oliver Wainwright
- 27 ottobre 2011
- Taipei
Assume come drammatica premessa l'incessante Block Attack, l'assalto dei palazzi', blocchi d'abitazione verticali che stanno invadendo queste città e stanno spazzando via i piccoli villaggi urbani spontanei che ne hanno caratterizzato il tessuto per secoli. La domanda è: "Possiamo accrescere la densità di queste aree senza sacrificare il carattere spontaneo del villaggio urbano?" "Che succederebbe se riuscissimo a sviluppare i villaggi urbani in verticale, in alternativa alla monotonia dell'oceano di palazzi della città?" La mostra che ne esce dà poche risposte a queste impegnative domande fondamentali, ma offre una rapida e colorita escursione attraverso una gamma di problemi relativi all'urbanistica spontanea, arrivando a un modello astratto di come agglomerati verticali di edifici di questo genere si possano creare tramite applicativi informatici parametrici.
Una parete di presentazione coperta di schermi video presenta una galoppata per le pianure infinite di palazzi a torre delle nove città prescelte, conducendo a una sala che delinea con maggiori particolari alcuni casi di studio su aree specifiche. Gli esempi di villaggio sono disegnati secondo gradevoli assonometrie (alla maniera del fondamentale progetto Pet Architecture dedicato dall'Atelier Bow-Wow agli edifici informali di Tokyo) ed esposti accanto a dati quantitativi come l'indice di sfruttamento e il consumo del suolo, insieme con un diagramma di ogni città che indica la progressiva cancellazione dei villaggi a favore dei palazzi. È una panoramica interessante, ma lascia trasparire nettamente il segno dell'analisi di corto respiro alla Google Earth, poco approfondita e che trae scarse conclusioni dalla tassonomia di base.
A segnare il passaggio dall'indagine alla proposta, i visitatori vengono condotti attraverso una scintillante galleria foderata di immagini collezionate tramite una ricerca su Google dell'espressione "villaggio verticale"
Un documentario realizzato dal regista Hsinyao Huang segue poi cinque famiglie di Taipei nella ricerca della casa ideale, insieme con altri dati sull'attuale situazione residenziale di Taipei. È da notare che questa sezione dimostra che la domanda è più o meno in rapporto con l'offerta, con il 70 per cento circa della popolazione che desidera abitare in palazzi della periferia residenziale: proprio i banalissimi palazzi cui la mostra intende contrapporsi. Ma la ricerca ne trae invece una conclusione differente: che la popolazione non vuole davvero abitare in questi palazzi e che le carenze abitative della città "hanno indotto gli abitanti a smettere di sognare". La prova di questa carenza di fantasia dei taiwanesi resta tutta da dimostrare, ma comunque nelle sale successive i sogni sono presenti in quantità.
A segnare il passaggio dall'indagine alla proposta, i visitatori vengono condotti attraverso una scintillante galleria foderata di immagini collezionate tramite una ricerca su Google dell'espressione "villaggio verticale". È un esercizio divertente, che rivela come il termine sia diventato un luogo comune per suggerire una tipologia di costruzione sviluppata in altezza con l'applicazione di elementi di estetica individuale, che spesso ha come risultato palazzi costituiti da un mosaico di moduli identici, disaggregati per dare l'impressione della diversità. Ma è anche un urgente segnale d'allarme che indica che fine abbia fatto tutto un ampio filone di proposte concettuali di fantasiose comunità sospese a mezz'aria, e come il risultato, in realtà, non sia altro che una serie di piani lievemente sfalsati con qualche giardino pensile.
A riprova di ciò la successiva galleria di specchi mostra il risultato di un laboratorio di sei giornate con gli studenti del Berlage Institute di Rotterdam, nel corso del quale a sei differenti gruppi sono stati forniti 200 cubi di espanso ogni giorno, con la richiesta di costruire un livello di villaggio verticale rispondente a sei parole chiave di vaga definizione: energia, comunità, economia, struttura, clima e accessibilità. Ogni giorno i modelli venivano scambiati e si aggiungeva un altro livello.
Questi totem multicolori rappresentano altrettanti oggetti di scultura, in cui ogni iterazione aggiunge uno strato di elementi a torre, a blocco o aggregati; e i problemi dell'impostazione collettiva della costruzione hanno senza dubbio sollevato interessanti discussioni di critica professionale. Il responsabile didattico del progetto Ulf Hauckauf mi racconta di vivaci dibattiti sul diritto di proprietà, sulle imposte sul reddito, sul rinforzo strutturale progressivo e sulla "pietrificazione" della base. Ma esposti qui—sordi assemblaggi di blocchi colorati accompagnati da scarse spiegazioni—significano molto poco. E non aiutano né noi né, a quanto pare, lo studio MVRDV (di cui Maas è associato) a comprendere che cosa possa davvero essere un villaggio verticale.
L'ultima sala contiene la proposta conclusiva di questo sconclusionato miscuglio di idee. Una schiera di computer su cui girano i programmi applicativi HouseMaker© e VillageMaker© che consentono di prendere parte attiva allo sviluppo del proprio villaggio verticale grazie alla regolazione di un insieme di parametri. Trasponendo le configurazioni—dagli orari di insolazione alla distanza dai vicini—dalla sfera tipologica a quella dell'immagine, l'algoritmo di modellazione Grasshopper proietta ogni abitazione in un modello di Rhino, dove è possibile ruotare l'aggregato delle abitazioni verticali come meglio si preferisce. E poi condividerlo su Facebook.
Presentando il progetto alla conferenza stampa, con la tipica verve carismatica che nasconde il fatto di essere appena sceso da un volo a lunga distanza, Winy Maas si tuffa in un'altra presentazione per immagini, compresa l'immagine di 24 copertine di libro. Sono i 24 progetti che The Why Factory ha affrontato in meno di tre anni, dalla sua costituzione nel 2008. Un ritmo frenetico che fa capire fin troppo chiaramente che la parola chiave è factory: "fabbrica". Se appena rallentassero un po'—non si può fare a meno di pensare—i loro risultati potrebbero essere un po' più articolati e andare oltre la tecnica operativa del drag and drop. Ma, con tutte le sue lacune, il lavoro di questo vivace centro studi dimostra un giocoso, infantile candore che va lodato, e un'audace semplicità che spezza l'atteggiamento di opacità di gran parte dell'accademia dell'architettura. La sensazione è forse messa in eccessivo risalto dal contesto in cui la mostra è allestita: "Credo che il nostro successo in Cina abbia un po' a che fare con la nostra immediatezza", mi ha poi confidato Maas.
Ciò che rende questo contesto tanto più significativo è che lo JUT Group ha appena incaricato MDVD di progettare uno dei suoi palazzi residenziali di lusso, il che impone a entrambe le parti di tradurre le parole in fatti. La domanda spinosa è se ce la faranno a ingoiare il rospo. Ora come ora appare improbabile. "Non vedo il modo di applicare l'idea del villaggio verticale a un progetto residenziale", dichiara Aaron Lee, amministratore delegato della JUT Foundation. "Forse per un progetto commerciale, o per un albergo, ma non può andar bene per un'abitazione personalizzata individualmente da più inquilini." Il tempo dirà come si evolverà il progetto, ma il cammino appare ancora lungo prima che il dislivello tra i risultati teorici di MVRDV e quelli pratici possa utilmente essere colmato. Oliver Wainwright
Fino a 08.01.2012
The Vertical Village
Chung Shan Creative Hub