Provo a stendere alcuni appunti a partire da una constatazione. Il progetto di architettura presenta periodicamente accelerazioni visionarie e utopiche il cui contenuto è più sociale e politico che strettamente disciplinare: usa, cioè, l'architettura, i suoi linguaggi, e le sue criticità, per parlare d'altro.
L'architettura, da concreta arte del costruire, si propone come forma di pensiero capace di offrire ipotesi teoriche e figurative in grado di rappresentare soluzioni alternative e definitive ai problemi del rapporto dell'uomo con il suo ambiente naturale e costruito. Architettura Sperimentale, Architettura Radicale sono sinonimi di un atteggiamento propulsivo, di una spinta in avanti rispetto ai fini e agli strumenti canonici dell'architettura. Spinta che produce teorie, immagini, pensieri elaborati, visioni e scenari solo apparentemente futuribili, ma invece legati alle condizioni di crisi permanente della contemporaneità.
"Signora, sa quanto pesa la sua casa?" È la provocatoria domanda che Buckminster Fuller pone a significare la necessità di pensare il progetto come un atto di occupazione discreta, visionaria e tecnologicamente aggiornata del pianeta, reintroducendo le categorie di tempo, spazio, movimento ed economia nel procedimento costruttivo e nell'atto abitativo. Negli anni Sessanta questa condizione di inadeguatezza tecnologica, ecologica e sociologica produce ricerche e sperimentazioni diverse in Europa e Stati Uniti.
Radical Visions
Progetti e teorie, profetiche visioni, azzeramenti di storia e linguaggio, sconfinamenti strategici tra arte e design mostrano il carattere vitale e propulsivo del pensiero. utopico
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- Franco Raggi
- 22 marzo 2011
- Milano
"Tutto è architettura" afferma negli anni Sessanta Hans Hollein, dissolvendo i confini disciplinari all'interno di una ricerca dove l'architettura è condizione esistenziale, comportamentale, rituale, primaria e le opere sono visioni paradossali di città/ oggetto senza abitanti, di grattacieli antropomorfi o installazioni metaforiche di un perduto rapporto tra il corpo, lo spazio e gli oggetti come protesi rituali.
L'Architettura Sperimentale di Raimund Abraham e Friedrich St. Florian denuncia l'inadeguatezza linguistica e tematica dell'architettura corrente rispetto all'accelerazione tecnologica e alla parallela necessità di espressione simbolica. L'esito è coniugare un sofisticato vocabolario tecnologico e spaziale con arcaiche sensibilità.
Gruppi situazionisti – come Haus-Rucker-Co., Coop Himmelb(l)au, e UFO e Cavart in Italia – individuano nella destabilizzante provvisorietà di azioni di rottura dello spazio urbano l'utopia radicale che affida a comportamenti figurativamente eversivi il compito di svelare l'oppressiva banalità del reale, liberando consapevolezze estetiche e politiche. La funzione e la missione critica del progetto sono, in definitiva, un assunto comune, mentre diversi sono le teorie e gli strumenti messi a punto per 'presentare' questa condizione. Come interpretare e leggere le radicali soluzioni abitative di Yona Friedman, Constant, Fuller, dei Metabolist giapponesi, la tecnologia ironica e visionaria di Cedric Price e degli Archigram, la No-Stop City di Archizoom e il Monumento Continuo di Superstudio se non come lucide e provocatorie constatazioni che la crisi della modernità è, innanzitutto, crisi del modello economico e spaziale di convivenza sociale: cioè della città stessa come luogo e condensatore di identità, di rappresentazione collettiva e di produzione del lavoro. Giocate sull'impossibilità del compromesso con la città esistente, esse propongono, oppongono e sovrappongono al modello urbano un'altra città, ottenuta per applicazione rigorosa di nuove procedure generative dello spazio e delle sue strutture fisiche. La crisi politica ed esistenziale degli anni Sessanta è infatti una crisi che non trova, all'interno del corpus teorico e disciplinare dell'architettura, una soluzione. Soluzione che il Movimento Moderno aveva posto come nuovo sistema formale collocato all'interno del tessuto urbano e linguistico esistente, superandolo ma convivendo ancora con esso, anzi caricando l'architettura di un messaggio salvifico e rifondante per la forma stessa della città e della società. Questa natura positiva e riformista è assente dalle proposte radicali degli anni Sessanta/Settanta.
Rileggere oggi quelle visioni e quei teoremi ci permette di valutare il vuoto e autoreferenziale formalismo tecnologico che l'architettura dello star system ha internazionalmente sviluppato con un'omogeneità pari alla debole significanza.
In quel periodo, la ricerca di nuovi equilibri socio-politici sposta "l'asse etico ed estetico" delle nuove generazioni verso un anarchismo libertario e un impegno che investe creativa- mente e in senso anticonsumista stili di vita, cultura, politica, forme e strumenti dell'abitare. Nella revisione comportamentale ed estetica, l'architettura sconta le radici dogmatiche e dirigiste del Movimento Moderno (la Tendenza) che postulava un'architettura come allegoria di una nuova società, mentre non riesce a decifrare le mutazioni in corso. La dicotomia tra architettura senza politica e società senza architettura produce da parte dei gruppi radicali sconfinamenti disciplinari, azioni dimostrative tra architettura e arte (Pettena), fughe in avanti visionarie e profetiche del dissolvimento della città e delle sue forme storiche in un'indistinta e globalizzata forma diffusa. In questo contesto, l'Architettura Radicale italiana presenta una coesione e una lucidità peculiari. Il suo variegato percorso accomuna opzioni critiche e poetiche operative diverse, che hanno permesso di valutare la progressiva perdita di efficacia delle grandi utopie strutturali a favore di sistemi formali, culturali e produttivi più capillarmente diffusi capaci di seguire e rappresentare mutazioni linguistiche e culturali profonde e dai confini disciplinari elastici e fluidi, come il design nelle sue varie forme e scale dimensionali. Spostando il tiro dalle visioni utopiche e teoriche generali al mondo minuto e effusivo degli oggetti, dello spazio abitato, dei materiali e delle strutture formali non rigide, l'Architettura Radicale italiana chiude il suo ciclo a metà degli anni Settanta, ma indica strategicamente proprio fuori dall'architettura il campo d'azione produttivamente e antropologicamente più praticabile.
Rileggere oggi quelle visioni e quei teoremi ci permette di valutare il vuoto e autoreferenziale formalismo tecnologico che l'architettura dello star system ha internazionalmente sviluppato con un'omogeneità pari alla debole significanza. Dall'altra parte, la rivalutazione dell'utopia come mezzo di analisi teorica capace di generare consapevolezze ed energie su piani e contesti più allargati e politicamente pregnanti converge con la considerazione critica di Rem Koolhaas secondo cui l'eccesso di utopia dovrebbe, oggi, preoccuparci meno della sua totale mancanza. Franco Raggi