Lindsay Bremner, direttrice del dipartimento di architettura della Temple University, Filadelfia, ed ex direttrice della scuola d'architettura dell'University of the Witwatersrand, Johannesburg.
L'Africa, in architettura, non esiste nei documenti ufficiali se crediamo a quanto riporta l'Atlante Phaidon dell'architettura mondiale del XXI secolo: le pagine riservate all'Europa sono 348, all'America del nord 94, all'Asia 167 e all'Africa 31. Ma sarebbe davvero poco generoso arrendersi a quest'interpretazione. Sarebbe una conferma del fatto che questo continente non ha in architettura una sua storia e che può essere solo terra di conquista per i poteri più forti: come, per esempio, la Cina, che sta liberamente facendo man bassa di terre e risorse prime. E i modelli che si applicheranno qui saranno necessariamente quelli globalizzati, privi di qualsiasi identità locale.
Esiste comunque una linea di pensiero, alla quale appartiene anche Diébédo Francis Kéré, che rivendica una sua originalità. Come ricorda Nnamdi Elleh, nella sua introduzione al libro di Antoni Folkers Modern Architecture in Africa (Sun Architecture, Amsterdam, 2010), "l'architettura sostenibile, oggi uno slogan di moda in campo internazionale, può andare e venire, ma è sempre stata in Africa una pratica standard tra i pionieri del modernismo".
I progetti di cui parliamo – insieme a Kéré fanno parte di questo ambito Emilio e Matteo Caravatti (Domus n. 915, 2008), tamassociati (Domus n. 912, 2008; n. 934, 2010), Fabrizio Caròla (Domus n. 940, 2010) – appartengono a un mondo certamente dai confini ristretti: quello di associazioni no profit che, tramite il volontariato, costruiscono infrastrutture nei Paesi dove tutto manca. Il centro di cardiochirurgia Emergency, progettato da tamassociati a Khartoum, Sudan, supplisce all'emergenza e al nulla con un'architettura utile e davvero bella, se paragonata alla corrente edilizia sanitaria italiana.
L’architettura sostenibile, oggi di moda in campo internazionale, può andare e venire, ma è sempre stata in Africa una pratica comune tra i pionieri del modernismo
Sopra il basamento in argilla – la parte più compatta che sembra appartenere alla terra di cui è fatta – galleggia leggera nell'aria una grande copertura in aggetto, fatta di semplice lamiera. Ciò che la sorregge è una struttura metallica, una trama geometrica composta di aste sottili. Sono l'equivalente in architettura dei rami di un albero: rami artificiali attraverso i quali spira il vento a rinfrescare l'interno. Laura Bossi