Promo testo stripe
Immagine mobile promo

Junya Ishigami: architettura come aria

L'installazione di Ishigami a Venezia dibatte i temi della fragilità e della trasparenza in un'epoca in cui la disciplina architettonica si ritrova senza certezze finanziarie e professionali.

Assegnando allo studio Junya Ishigami + Associates, per il suo Architecture as Air: Study for Château la Coste, il Leone d'Oro per il miglior progetto della Mostra alla 12a Biennale Internazionale d'Architettura di Venezia, la giuria forse ha fatto qualcosa di più che manifestare una semplice segno di compiacimento accademico. Il progetto di Ishigami – che misura quasi 14 metri in profondità, quasi 4 in larghezza e altrettanti in altezza – vuole essere lo studio per un edificio che si pone come modello o come costruzione reale. Le sottilissime fibre che lo compongono, tese tra gli elementi architettonici preesistenti nello spazio della mostra lo rendono a prima vista quasi invisibile. Il fruitore viene lasciato nell'incertezza di dove esattamente cominci o finisca il progetto. La sua organizzazione spaziale non è facilmente decifrabile, con pilastri e travi tanto ridotti nelle proporzioni da diventare perfettamente impercettibili. La fragilità della struttura con le sue friabili membrature appena visibili, a stento in grado di reggere le spinte, a stento in grado di definire uno spazio, potrebbe essere una riflessione sull'architettura. L'invisibile mano dell'architetto dirige il fruitore. Ishigami ha fabbricato uno spazio di riduttiva attualità.
C'è un intrinseco atteggiamento primitivo nel definire lo spazio contrassegnandolo con elementi architettonici. I collegamenti, o le linee, quasi svaniscono e permettono ai fruitori di aggirarsi non solo dove l'installazione è, ma dove era. Siamo di fronte a un rudere. Un rudere, concettualmente, mantiene una forma visiva, ma proietta anche la sua totalità attraverso la virtualità. La rovina rappresenta un'organizzazione spaziale tramite una collezione di momenti di deterioramento. Una temporalità che è materiale ma completamente inaccessibile. La narrazione di una rovina si espande oltre lo spazio espositivo. Architecture as Air di Ishigami dibatte i temi della fragilità e della trasparenza in un'epoca in cui la disciplina architettonica si ritrova senza certezze finanziarie e professionali. Oscilla nell'incertezza dell'economia mentre il ruolo dell'architetto si inaridisce. La trasparenza, come idea architettonica, può essere fatta risalire principalmente a due momenti di interesse per questo progetto. Nel 1942 Marcel Duchamp progettò la mostra surrealista First Papers of Surrealism. Anche lui riempì un edificio preesistente di cordicelle, creando una barriera che si frapponeva tra l'opera d'arte surrealista e lo spazio espositivo. Duchamp usava la corda per consumare lo spazio vuoto e disorientare il fruitore; la corda era lì per essere vista. Invece la corda di Ishigami, in equilibrio tanto lieve, funziona insieme con lo spazio vuoto dell'edificio; non per contenere lo spazio preesistente ma per crearne uno nuovo. E tuttavia questo nuovo spazio era costruito con tale levità da non incidere sullo spazio esistente; c'erano due spazi in uno. Colin Rowe e Robert Slutzky, in Literal and Phenomenal Transparency, illustrano la diffusione della parola "trasparenza", il suo impatto e il suo travisamento nella tradizione dell'architettura modernista. In essa per la prima volta vennero usate grandi superfici di vetro come chiaro esempio di una trasparenza architettonica di recente scoperta. Rowe non analizza solo il dato materiale, ma anche l'aspetto fenomenico – ovvero immateriale – che richiede una disamina. Nel progetto di Ishigami si potrebbe affermare che ci sia un "equivoco" spaziale e ottico, nella misura in cui uno spazio ne racchiude un altro.
Architecture as Air non solo realizza una letterale scomparsa degli spazi, ma anche la loro confusione fenomenica: un insieme spaziale perfettamente nitido eppure allo stesso tempo perfettamente ambiguo. L'architettura è stata da tempo accostata alla matematica e all'arte della geometria. Ishigami sfida la coscienza di ciò che costituisce un "architrave" e "un pilastro", una "parete" e un "pavimento". Il fatto che una linea definisca un muro o un certo numero di linee descrivano un volume implica un'indagine su ciò che costituisce un costrutto geometrico: la linea. Uno spazio tridimensionale collassa su se stesso attraverso la definizione di volume o di piano in una singola linea altrimenti bidimensionale. Ishigami è forse in sintonia con l'attuale interesse giapponese per il gioco dei volumi. Forse non è un caso che abbia in passato lavorato per la direttrice della Biennale Kazuo Sejima, dato che è lo studio SANAA ad aver messo in primo piano il gioco reciproco dei contenitori volumetrici. L'esempio più pertinente potrebbe essere la casa Moriyama di Tokyo. I volumi sono organizzati secondo le funzioni, mentre lo spazio esterno residuo ha il ruolo di definire l'insieme dei volumi. È un'inversione geometrica a creare il volume. È come se, mentre molti architetti contemporanei vogliono compiere grandiosi gesti architettonici, il progetto di Ishigami tendesse a un'architettura della sparizione. Un segno sottile sul tessuto urbano invece di una vistosa esplosione di eccentricità. L'opera si accorda con il programma architettonico di Ishigami. È una questione di prossimità. A forza di restare nei limiti di uno spazio architettonico il fruitore può dimenticare l'involucro; ma qui, nel suo delicato intrico, il fruitore è costretto alla profonda consapevolezza della loro prossimità alla struttura. Diventa una posizione rischiosa, mai certi come si è del passaggio da uno spazio all'altro. Sfida il peso, la scala, l'opacità dei limiti e in effetti si fa completamente trasparente. Nella realizzazione del progetto Ishigami evoca un momento di sospensione che è il crudo ritratto della professione di oggi con la sua carenza di definizione, di nitidezza e di opacità. Nella sua saturazione e nella sua sottigliezza la struttura sfugge ai tradizionali confini spaziali e alla tradizionale logica organizzativa. È una tridimensionalità contorta e collassata in una bidimensionalità. L'edificio preesistente non è più una struttura definitiva in quanto installazione, è un "veicolo". Il fatto che Ishigami abbia posto un edificio fittizio in quello materiale (lo spazio espositivo) crea una definita ambiguità. Un'incertezza, una confusione. Veniamo tutti resi consapevoli della nostra prossimità alla rovina architettonica in ogni senso.

PNA International Forum

L'Università Iuav di Venezia ospiterà un evento internazionale dedicato alla pietra naturale, esplorandone le potenzialità nel design e nell'architettura contemporanea.

  • Informazione pubblicitaria

Ultimi articoli di Architettura

Altri articoli di Domus

Leggi tutto
China Germany India Mexico, Central America and Caribbean Sri Lanka Korea icon-camera close icon-comments icon-down-sm icon-download icon-facebook icon-heart icon-heart icon-next-sm icon-next icon-pinterest icon-play icon-plus icon-prev-sm icon-prev Search icon-twitter icon-views icon-instagram